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Expo è finita: cosa rimane di Expo? Probabilmente la cosa più positiva resta l’impulso straordinario che l’Esposizione ha saputo dare alla Milano, e all’Italia tutta, della Cultura. Perché è la cultura il vero tesoro dell’Italia: che si tratti della nostra tradizione gastronomica, agricola, o dell’arte, il nostro è un paese che da sempre si distingue per la propria eccellenza creativa, figlia di una storia antica e ricca come probabilmente nessun’altra.

E la mostra “Il tesoro d’Italia“, che Vittorio Sgarbi ha allestito e che ha raccontato sette secoli di arte italiana – dal ‘300 al ‘900 – è stata probabilmente un’esposizione senza precedenti. 250 opere che hanno evidenziato la varietà delle nostre eterogenee ma coerenti culture, la bio-diversità artistica che distingue un piemontese da un toscano o un marchigiano da un pugliese. Componendo però, nell’insieme, un mosaico da cui appare evidente una unità, italianissima, costruita sulla varietà regionale.

 

Ignazio e Filippo Collino, ritratto di Francesco Alerano Saverio Provana del Sabbione e Teresa Provana del Sabbione

 

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Expo è finita: cosa rimane di Expo? Probabilmente la cosa più positiva resta l’impulso straordinario che l’Esposizione ha saputo dare alla Milano, e all’Italia tutta, della Cultura. Perché è la cultura il vero tesoro dell’Italia: che si tratti della nostra tradizione gastronomica, agricola, o dell’arte, il nostro è un paese che da sempre si distingue per la propria eccellenza creativa, figlia di una storia antica e ricca come probabilmente nessun’altra.

E la mostra “Il tesoro d’Italia“, che Vittorio Sgarbi ha allestito e che ha raccontato sette secoli di arte italiana – dal ‘300 al ‘900 – è stata probabilmente un’esposizione senza precedenti. 250 opere che hanno evidenziato la varietà delle nostre eterogenee ma coerenti culture, la bio-diversità artistica che distingue un piemontese da un toscano o un marchigiano da un pugliese. Componendo però, nell’insieme, un mosaico da cui appare evidente una unità, italianissima, costruita sulla varietà regionale.

 

Bertozzi e Casoni, Estate

 

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Expo è finita: cosa rimane di Expo? Probabilmente la cosa più positiva resta l’impulso straordinario che l’Esposizione ha saputo dare alla Milano, e all’Italia tutta, della Cultura. Perché è la cultura il vero tesoro dell’Italia: che si tratti della nostra tradizione gastronomica, agricola, o dell’arte, il nostro è un paese che da sempre si distingue per la propria eccellenza creativa, figlia di una storia antica e ricca come probabilmente nessun’altra.

E la mostra “Il tesoro d’Italia“, che Vittorio Sgarbi ha allestito e che ha raccontato sette secoli di arte italiana – dal ‘300 al ‘900 – è stata probabilmente un’esposizione senza precedenti. 250 opere che hanno evidenziato la varietà delle nostre eterogenee ma coerenti culture, la bio-diversità artistica che distingue un piemontese da un toscano o un marchigiano da un pugliese. Componendo però, nell’insieme, un mosaico da cui appare evidente una unità, italianissima, costruita sulla varietà regionale.

 

Luigi Serafini, Donna Carota

 

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SisalPay si fa promotrice di un’iniziativa d’eccezione, sostenendo, al Museo del Novecento di Milano, l’arrivo delle due ultime collezioni Un Museo Ideale. Ospiti d’eccezione nelle Collezioni del Novecento dal Futurismo al Contemporaneo” e “Nuovi Arrivi. Opere della donazione Bianca e Mario Bertolini”. Un impegno che sarà corollato da tre serate con guide di grande prestigio: Vittorio Sgarbi, Luca Beatrice e Philippe Daverio, la cui serata il prossimo 22 settembre sarà per tutta la cittadinanza. L’iniziativa si inserisce nel programma espositivo che il Museo del Novecento ha ideato in occasione di Expo 2015.

I capolavori donati da Mario Bertolini arricchiscono il patrimonio del museo di oltre 600 opere realizzate dai protagonisti dell’arte italiana e internazionale del secolo scorso, e la mostra “Nuovi Arrivi” ricostruisce, in una selezione di circa cento opere, i capitoli fondamentali della raccolta, con opere che da Balla portano a Warhol e Schifano, all’arte concettuale americana ed europea, a Christo, Acconci, LeWitt, ai neoespressionisti tedeschi e austriaci, per concludere il percorso con una grande Rosa Bianca di Kounellis, che costituisce così un importante contraltare alla Rosa Nera già presente nella collezione permanente del museo.

 

 

“Un Museo Ideale”, invece, arricchisce le collezioni del museo con opere provenienti dalle istituzioni museali italiane, a costituire insieme alle opere permanenti un percorso comune che racconti il patrimonio artistico italiano del secolo scorso. Un invito esteso al pubblico sui Social Network con l’Instagram Challenge #MuseoIdeale, una call dedicata a tutti gli appassionati di arte e fotografia, supportata da un sito (www.museoideale.it) che ospita la raccolta delle immagini condivise dalla community, trasformando “Un Museo Ideale” in un museo aperto a tutti. Maurizio Santacroce, Direttore Payments and Services  di Sisal Group, ci dice:

“Da alcuni anni nell’ambito del nostro programma di responsabilità sociale d’impresa stiamo investendo per sostenere l’arte, la cultura e il talento. Quest’anno ci ha molto colpito l’iniziativa di questi percorsi espositivi del Museo del Novecento in concomitanza con Expo: ci è sembrata una notevole valorizzazione della cultura italiana, ed essendo la nostra una realtà fortemente italiana abbiamo aderito al progetto, che pensiamo ci abbia permesso di dare un contributo particolare anche alla città di Milano.

 

Crediamo molto nel sostegno all’arte. Personalmente, sono molto contento di quanto fatto finora in questo contesto, che ci ha consentito di accompagnare la città per sei mesi e che ci ha portato a vivere serate come questa curata da Vittorio Sgarbi, che ha un sapore particolare e da grande soddisfazione.”

 

 

 

Nell’occasione della prima serata guidata abbiamo rivolto alcune domande a Vittorio Sgarbi.

Come spesso capita, grazie a privati che peraltro si occupano di tutt’altro, è possibile realizzare iniziative come questa. Le istituzioni tendono ad essere carenti, questo non è un bene. Ci potrà essere un’inversione di tendenza?

SisalPay è un Istituto di Pagamento privato, parte di un grande Gruppo (la Sisal) concessionario dello Stato, che produce dei profitti attraverso dei servizi di pagamento, e che ha decide di indirizzare parte dei propri investimenti all’attività di restauro e promozione di mostre. Chiaramente, ricevendo tramite un gesto apprezzabile com’è quello della promozione della cultura, il vantaggio di far ulteriormente conoscere la propria esistenza ed alcuni aspetti della propria attività. Io, per esempio, non sapevo che Sisalpay consente di pagare bollette, tasse e multe in tabaccheria o negozio. Nell’azione di sponsorizzazione, quindi, c’è anche un’implicita promozione dell’istituto.

 

 

E le istituzioni pubbliche?

Le istituzioni pubbliche hanno un problema più grave. Il taglio della spesa pubblica non dovrebbe voler dire solo spendere di meno, ma spendere meglio: indirizzando meglio la spesa si potrebbe spendere la metà di quello che effettivamente spende l’Amministrazione, con maggiori risultati. Il problema del Pubblico è perciò la dispersione di energie in spese senza senso. Molti interventi pubblici, a partire dall’esempio della stessa Regione Lombardia, che aveva una sede perfetta al Pirellone ma ha voluto ugualmente realizzare la propria Nuova Sede, si concretizzano in soldi che vengono spesi per una iniziativa di lavori nominalmente pubblici che, però, non hanno alcun interesse per il pubblico. Abbiamo una spesa pubblica eccessiva per obiettivi sbagliati. Non serve spendere un po’ di meno dappertutto, ma occorre spendere rinunciando ad opere inutili, indirizzando il denaro laddove è utile, compresa ovviamente la promozione della cultura.

Altrettanto notevole è l’importanza della presenza in Italia di persone come i Bertolini, che decidono di donare al museo – e quindi a tutti – collezioni di importanza rilevante come questa..

Quella dei Bertolini è una donazione molto di nicchia che ha un interesse generale più legato alla specialità e all’attenzione per l’arte contemporanea. È una collezione sinceramente amatoriale, quasi un archivio, perché hanno comperato soprattutto opere su carta. La donazione è una delle anime viventi dei musei: i musei vivono di donazioni e molto spesso sono costitutiti da collezioni private. Il fatto che oggi si continui a fare quello che è sempre stato fatto nel passato, come per esempio per l’Accademia Carrara o per il Poldi Pezzoli, è la prova del fatto che esiste un Privato virtuoso il cui collezionismo non è legato al danaro, ma a una concezione di condivisione. Questo porta naturalmente il privato a donare quanto raccolto spendendo soldi propri per permettere alla gente di visitare la propria collezione e condividere la propria visione dell’arte.

 

 

I Bertolini sono stati una famiglia legata all’arte ma anche al proprio territorio: Araldo, il padre di Mario Bertolini, fu ispettore onorario delle Belle arti e direttore del Museo camuno. E infatti, inizialmente, la Fondazione aveva cercato di collocare le opere in Valcamonica, ma non è stato trovato un posto adeguato e la collezione è arrivata a Milano. Cosa pensa di questo fatto?

Penso che sarebbe stato un errore. In Valcamonica un collezionismo così sofisticato – e anche snob, perché porta con sé una serie di questioni legate non alla comune idea di arte, ma a un’idea di arte legata alla sensibilità del nostro tempo – sarebbe probabilmente rimasto confinato in una sorta di cimitero, con le opere appese ai muri senza che nessuno le vedesse. Invece, non c’è destinazione più pertinente del museo del Novecento a Milano: è un’ istituzione universale nella città giusta. Questa collezione in terra camuna avrebbe costituito una bizzarria, una curiosità che pure era legata a persone sensibili, qui diventa organica a una visione. È stata una fortuna che l’abbiano rifiutata in Valcamonica, perchè sarebbe rimasta in qualche modo inevasa, l’avrebbero visitata solo pochissimi bizzarri curiosi. Al museo del Novecento, invece, chi viene a vederla la trova nel contesto giusto, insieme alla collezione di Claudia Gian Ferrari, nell’ambito del mondo a cui quelle opere appartengono.

 

 

Parlando del “Museo Ideale”, qual è il suo punto di vista su questo genere di iniziativa? Le sembra positiva e sensata? Magari auspicabile anche in situazioni diverse legate ad altri musei?

È una giusta iniziativa: portare quadri di un museo in un altro museo è una pratica comune, e qui l’hanno realizzata addirittura moltiplicandola per dieci.

Che una sola opera venga da un’altro museo è cosa giusta; che in un museo ne vengano dieci da altrettanti musei è cosa ancora più giusta; che poi queste dieci opere siano contestuali alle diverse aree del museo, per cui tu hai un dipinto metafisico o un dipinto di Casorati nel luogo dove ci sono i quadri degli stessi autori e degli stessi movimenti dentro il museo, è veramente notevole. Credo però che il titolo possa creare un equivoco: si pensa ad un “museo ideale” come ad un qualcosa che non c’è, qualcosa di virtuale, mentre questa è una mostra assolutamente reale, che semplicemente configura l’ipotesi di un museo stabilmente realizzabile.

 

 

 

 

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