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Il 20 aprile 2018 ha aperto al pubblico l'edificio che completa la sede di Milano della Fondazione Prada: la Torre, inaugurata nel maggio 2015 e progettata da Rem Koolhaas con Chris van Duijn e Federico Pompignoli dello studio OMA.

Alta 60 metri, è realizzata in cemento bianco strutturale a vista. Un edificio di nove piani che arricchisce il repertorio espositivo e definisce la visione architettonica della fondazione, caratterizzata da una varietà di opposizioni e frammenti. Ciascuno dei nove piani della Torre offre una percezione inedita degli ambienti interni.

All’interno dei sei livelli espositivi inaugura il progetto “Atlas” nato da un dialogo tra Miuccia Prada e Germano Celant. Riunisce opere della Collezione Prada in una successione di spazi che accolgono assoli o confronti, creati per assonanza o contrasto, tra artisti come Carla Accardi e Jeff Koons, Walter De Maria, Mona Hatoum ed Edward Kienholz and Nancy Reddin Kienholz, Michael Heizer e Pino Pascali, William N. Copley e Damien Hirst, John Baldessari e Carsten Höller.

L’insieme dei lavori esposti, realizzati tra il 1960 e il 2016, rappresenta una possibile mappatura delle idee e delle visioni che hanno guidato la formazione della collezione e le collaborazioni con gli artisti che hanno contribuito allo sviluppo delle attività della fondazione nel corso degli anni. “Atlas” testimonia così un percorso tra personale e istituzionale, in evoluzione, aperto a interventi temporanei e tematici, a progetti ed eventi speciali, con possibili integrazioni da altre collezioni e istituzioni.Dall’apertura della nuova sede nel 2015, la collezione è diventata uno degli strumenti di lavoro a disposizione del programma culturale della fondazione, assumendo diverse configurazioni – dalle mostre tematiche alle collettive, dalle antologiche ai progetti curati da artisti – e trova ora nella Torre uno spazio permanente di esposizione.

Carsten Höller - Upside Down Mushroom Room, 2000

 

 

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Il 20 aprile 2018 ha aperto al pubblico l'edificio che completa la sede di Milano della Fondazione Prada: la Torre, inaugurata nel maggio 2015 e progettata da Rem Koolhaas con Chris van Duijn e Federico Pompignoli dello studio OMA.

Alta 60 metri, è realizzata in cemento bianco strutturale a vista. Un edificio di nove piani che arricchisce il repertorio espositivo e definisce la visione architettonica della fondazione, caratterizzata da una varietà di opposizioni e frammenti. Ciascuno dei nove piani della Torre offre una percezione inedita degli ambienti interni.

All’interno dei sei livelli espositivi inaugura il progetto “Atlas” nato da un dialogo tra Miuccia Prada e Germano Celant. Riunisce opere della Collezione Prada in una successione di spazi che accolgono assoli o confronti, creati per assonanza o contrasto, tra artisti come Carla Accardi e Jeff Koons, Walter De Maria, Mona Hatoum ed Edward Kienholz and Nancy Reddin Kienholz, Michael Heizer e Pino Pascali, William N. Copley e Damien Hirst, John Baldessari e Carsten Höller.

L’insieme dei lavori esposti, realizzati tra il 1960 e il 2016, rappresenta una possibile mappatura delle idee e delle visioni che hanno guidato la formazione della collezione e le collaborazioni con gli artisti che hanno contribuito allo sviluppo delle attività della fondazione nel corso degli anni. “Atlas” testimonia così un percorso tra personale e istituzionale, in evoluzione, aperto a interventi temporanei e tematici, a progetti ed eventi speciali, con possibili integrazioni da altre collezioni e istituzioni.Dall’apertura della nuova sede nel 2015, la collezione è diventata uno degli strumenti di lavoro a disposizione del programma culturale della fondazione, assumendo diverse configurazioni – dalle mostre tematiche alle collettive, dalle antologiche ai progetti curati da artisti – e trova ora nella Torre uno spazio permanente di esposizione.

Walter De Maria - Bel Air Trilogy, 2000/2011

 

 

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Il 20 aprile 2018 ha aperto al pubblico l'edificio che completa la sede di Milano della Fondazione Prada: la Torre, inaugurata nel maggio 2015 e progettata da Rem Koolhaas con Chris van Duijn e Federico Pompignoli dello studio OMA.

Alta 60 metri, è realizzata in cemento bianco strutturale a vista. Un edificio di nove piani che arricchisce il repertorio espositivo e definisce la visione architettonica della fondazione, caratterizzata da una varietà di opposizioni e frammenti. Ciascuno dei nove piani della Torre offre una percezione inedita degli ambienti interni.

All’interno dei sei livelli espositivi inaugura il progetto “Atlas” nato da un dialogo tra Miuccia Prada e Germano Celant. Riunisce opere della Collezione Prada in una successione di spazi che accolgono assoli o confronti, creati per assonanza o contrasto, tra artisti come Carla Accardi e Jeff Koons, Walter De Maria, Mona Hatoum ed Edward Kienholz and Nancy Reddin Kienholz, Michael Heizer e Pino Pascali, William N. Copley e Damien Hirst, John Baldessari e Carsten Höller.

L’insieme dei lavori esposti, realizzati tra il 1960 e il 2016, rappresenta una possibile mappatura delle idee e delle visioni che hanno guidato la formazione della collezione e le collaborazioni con gli artisti che hanno contribuito allo sviluppo delle attività della fondazione nel corso degli anni. “Atlas” testimonia così un percorso tra personale e istituzionale, in evoluzione, aperto a interventi temporanei e tematici, a progetti ed eventi speciali, con possibili integrazioni da altre collezioni e istituzioni.Dall’apertura della nuova sede nel 2015, la collezione è diventata uno degli strumenti di lavoro a disposizione del programma culturale della fondazione, assumendo diverse configurazioni – dalle mostre tematiche alle collettive, dalle antologiche ai progetti curati da artisti – e trova ora nella Torre uno spazio permanente di esposizione.

Damien Hirst - Atlas

 

 

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Questioning Pictures” è un nuovo progetto espositivo di Stefano Graziani per l’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II. La mostra, curata da Francesco Zanot, include un nuovo corpus di opere commissionate dalla Fondazione Prada che esplorano la fotografia come strumento di narrazione, catalogazione e reinterpretazione. Graziani indaga sistemi di archiviazione e conservazione di musei come il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Montreal, il Sir John Soane’s Museum di Londra, il Kunstmuseum Basel, il Museum Insel Hombroich di Neuss, il Museo di Castelvecchio a Verona e la gipsoteca del Museo Canova di Possagno, concentrandosi sul rapporto ambivalente tra fotografia e oggetto museale. Il fotografo si muove su un territorio ambiguo: da una parte svolge un lavoro di documentazione di materiali diversi come disegni e modelli architettonici, libri, fotografie e dipinti, dall’altra intraprende un percorso di interpretazione attraverso un uso attento delle luci e degli angoli di ripresa e l’inclusione nei suoi scatti di elementi di disturbo. Le sue fotografie non solo rivelano raccolte museali e archivi a cui solitamente il pubblico non ha accesso, ma li riattivano secondo logiche e prospettive del tutto soggettive. Attraverso un dispositivo allestitivo, concepito dallo studio OFFICE Kersten Geers David Van Severen come un sistema di paraventi colorati e modulabili, disposti sui due livelli dell’Osservatorio, si creano degli accostamenti visivi e semantici inaspettati tra le fotografie e tra gli oggetti rappresentati. Il modello di un edificio di Aldo Rossi è collegato a un disegno di Gordon Matta-Clark, un album fotografico di fine Ottocento su Pompei è accostato a un plastico del Pantheon in mostra al Sir John Soane’s Museum di Londra, un gesso di Antonio Canova conservato a Possagno dialoga con le Tre Grazie di Lucas Cranach esposte al Kunstmuseum Basel e ancora una maquette di un progetto utopico di Cedric Price è associata a un prototipo di tavolo disegnato da Mies van der Rohe. Ciò che unisce questo insieme eterogeneo di oggetti e opere d’arte è il pensiero di Graziani, la cui visione li trasforma in nature morte, disorientanti e inattese.

Stefano Graziani - Lucas Cranach, Lucretia 1535

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Questioning Pictures” è un nuovo progetto espositivo di Stefano Graziani per l’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II. La mostra, curata da Francesco Zanot, include un nuovo corpus di opere commissionate dalla Fondazione Prada che esplorano la fotografia come strumento di narrazione, catalogazione e reinterpretazione. Graziani indaga sistemi di archiviazione e conservazione di musei come il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Montreal, il Sir John Soane’s Museum di Londra, il Kunstmuseum Basel, il Museum Insel Hombroich di Neuss, il Museo di Castelvecchio a Verona e la gipsoteca del Museo Canova di Possagno, concentrandosi sul rapporto ambivalente tra fotografia e oggetto museale. Il fotografo si muove su un territorio ambiguo: da una parte svolge un lavoro di documentazione di materiali diversi come disegni e modelli architettonici, libri, fotografie e dipinti, dall’altra intraprende un percorso di interpretazione attraverso un uso attento delle luci e degli angoli di ripresa e l’inclusione nei suoi scatti di elementi di disturbo. Le sue fotografie non solo rivelano raccolte museali e archivi a cui solitamente il pubblico non ha accesso, ma li riattivano secondo logiche e prospettive del tutto soggettive. Attraverso un dispositivo allestitivo, concepito dallo studio OFFICE Kersten Geers David Van Severen come un sistema di paraventi colorati e modulabili, disposti sui due livelli dell’Osservatorio, si creano degli accostamenti visivi e semantici inaspettati tra le fotografie e tra gli oggetti rappresentati. Il modello di un edificio di Aldo Rossi è collegato a un disegno di Gordon Matta-Clark, un album fotografico di fine Ottocento su Pompei è accostato a un plastico del Pantheon in mostra al Sir John Soane’s Museum di Londra, un gesso di Antonio Canova conservato a Possagno dialoga con le Tre Grazie di Lucas Cranach esposte al Kunstmuseum Basel e ancora una maquette di un progetto utopico di Cedric Price è associata a un prototipo di tavolo disegnato da Mies van der Rohe. Ciò che unisce questo insieme eterogeneo di oggetti e opere d’arte è il pensiero di Graziani, la cui visione li trasforma in nature morte, disorientanti e inattese.

Stefano Graziani - Antonio Canova Palamede

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Questioning Pictures” è un nuovo progetto espositivo di Stefano Graziani per l’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II. La mostra, curata da Francesco Zanot, include un nuovo corpus di opere commissionate dalla Fondazione Prada che esplorano la fotografia come strumento di narrazione, catalogazione e reinterpretazione. Graziani indaga sistemi di archiviazione e conservazione di musei come il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Montreal, il Sir John Soane’s Museum di Londra, il Kunstmuseum Basel, il Museum Insel Hombroich di Neuss, il Museo di Castelvecchio a Verona e la gipsoteca del Museo Canova di Possagno, concentrandosi sul rapporto ambivalente tra fotografia e oggetto museale. Il fotografo si muove su un territorio ambiguo: da una parte svolge un lavoro di documentazione di materiali diversi come disegni e modelli architettonici, libri, fotografie e dipinti, dall’altra intraprende un percorso di interpretazione attraverso un uso attento delle luci e degli angoli di ripresa e l’inclusione nei suoi scatti di elementi di disturbo. Le sue fotografie non solo rivelano raccolte museali e archivi a cui solitamente il pubblico non ha accesso, ma li riattivano secondo logiche e prospettive del tutto soggettive. Attraverso un dispositivo allestitivo, concepito dallo studio OFFICE Kersten Geers David Van Severen come un sistema di paraventi colorati e modulabili, disposti sui due livelli dell’Osservatorio, si creano degli accostamenti visivi e semantici inaspettati tra le fotografie e tra gli oggetti rappresentati. Il modello di un edificio di Aldo Rossi è collegato a un disegno di Gordon Matta-Clark, un album fotografico di fine Ottocento su Pompei è accostato a un plastico del Pantheon in mostra al Sir John Soane’s Museum di Londra, un gesso di Antonio Canova conservato a Possagno dialoga con le Tre Grazie di Lucas Cranach esposte al Kunstmuseum Basel e ancora una maquette di un progetto utopico di Cedric Price è associata a un prototipo di tavolo disegnato da Mies van der Rohe. Ciò che unisce questo insieme eterogeneo di oggetti e opere d’arte è il pensiero di Graziani, la cui visione li trasforma in nature morte, disorientanti e inattese.

Stefano Graziani - Natura Morta, Thonet Ludwig Miles van de Rohe, 1935

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Organizzata in collaborazione con la Menil Collection, Houston, la retrospettiva William N. Copley è curata per l’edizione italiana da Germano Celant e ripercorre l’intera carriera dell’artista americano che, dalla fine degli anni ’40 a Los Angeles, si sviluppa a Parigi per poi consolidarsi tra Europa e Stati Uniti.

Alla Fondazione Prada William N. Copley, fortemente ampliata rispetto a Houston, si distingue per la ricchezza e l’aspetto inedito dei materiali. Include più di 150 lavori realizzati da Copley dal 1948 al 1995 e provenienti da musei e collezioni internazionali, costituendo la più grande retrospettiva dedicata finora al pittore americano.
Per la prima volta il pubblico italiano ha inoltre la possibilità di ammirare un nucleo di capolavori di Max Ernst, René Magritte, Man Ray e Jean Tinguely, un tempo parte della raccolta personale di Copley, e ora conservati alla Menil Collection.

A Milano William N. Copley si sviluppa nei due livelli del Podium. Nel primo piano una selezione di lavori significativi dell’artista in dialogo con le opere surrealiste provenienti dalla sua collezione, permette di ricostruire il suo lungo e complesso percorso biografico e intellettuale condiviso, tra gli altri, con Marcel Duchamp, Ernst, Magritte e Man Ray. Tale sezione è completata da un’imponente raccolta in parte inedita di pubblicazioni, fotografie, cataloghi e materiali d’archivio resa disponibile dall’Estate di William N. Copley a New York. Al piano terra il visitatore accede a una struttura costituita da 8 ambienti, ognuno dedicato a un soggetto o un aspetto specifico della produzione di Copley.

 

William N. Copley - Specchi sagomati, New York (1978)

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Organizzata in collaborazione con la Menil Collection, Houston, la retrospettiva William N. Copley è curata per l’edizione italiana da Germano Celant e ripercorre l’intera carriera dell’artista americano che, dalla fine degli anni ’40 a Los Angeles, si sviluppa a Parigi per poi consolidarsi tra Europa e Stati Uniti.

Alla Fondazione Prada William N. Copley, fortemente ampliata rispetto a Houston, si distingue per la ricchezza e l’aspetto inedito dei materiali. Include più di 150 lavori realizzati da Copley dal 1948 al 1995 e provenienti da musei e collezioni internazionali, costituendo la più grande retrospettiva dedicata finora al pittore americano.
Per la prima volta il pubblico italiano ha inoltre la possibilità di ammirare un nucleo di capolavori di Max Ernst, René Magritte, Man Ray e Jean Tinguely, un tempo parte della raccolta personale di Copley, e ora conservati alla Menil Collection.

A Milano William N. Copley si sviluppa nei due livelli del Podium. Nel primo piano una selezione di lavori significativi dell’artista in dialogo con le opere surrealiste provenienti dalla sua collezione, permette di ricostruire il suo lungo e complesso percorso biografico e intellettuale condiviso, tra gli altri, con Marcel Duchamp, Ernst, Magritte e Man Ray. Tale sezione è completata da un’imponente raccolta in parte inedita di pubblicazioni, fotografie, cataloghi e materiali d’archivio resa disponibile dall’Estate di William N. Copley a New York. Al piano terra il visitatore accede a una struttura costituita da 8 ambienti, ognuno dedicato a un soggetto o un aspetto specifico della produzione di Copley.

 

William N. Copley - Feel Like A Hundred Bucks (1986)

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Organizzata in collaborazione con la Menil Collection, Houston, la retrospettiva William N. Copley è curata per l’edizione italiana da Germano Celant e ripercorre l’intera carriera dell’artista americano che, dalla fine degli anni ’40 a Los Angeles, si sviluppa a Parigi per poi consolidarsi tra Europa e Stati Uniti.

Alla Fondazione Prada William N. Copley, fortemente ampliata rispetto a Houston, si distingue per la ricchezza e l’aspetto inedito dei materiali. Include più di 150 lavori realizzati da Copley dal 1948 al 1995 e provenienti da musei e collezioni internazionali, costituendo la più grande retrospettiva dedicata finora al pittore americano.
Per la prima volta il pubblico italiano ha inoltre la possibilità di ammirare un nucleo di capolavori di Max Ernst, René Magritte, Man Ray e Jean Tinguely, un tempo parte della raccolta personale di Copley, e ora conservati alla Menil Collection.

A Milano William N. Copley si sviluppa nei due livelli del Podium. Nel primo piano una selezione di lavori significativi dell’artista in dialogo con le opere surrealiste provenienti dalla sua collezione, permette di ricostruire il suo lungo e complesso percorso biografico e intellettuale condiviso, tra gli altri, con Marcel Duchamp, Ernst, Magritte e Man Ray. Tale sezione è completata da un’imponente raccolta in parte inedita di pubblicazioni, fotografie, cataloghi e materiali d’archivio resa disponibile dall’Estate di William N. Copley a New York. Al piano terra il visitatore accede a una struttura costituita da 8 ambienti, ognuno dedicato a un soggetto o un aspetto specifico della produzione di Copley.

 

William N. Copley - Paravento (1958/1982)

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“Slight Agitation” è un progetto espositivo costituito da quattro commissioni site-specific che si succedono dal 20 ottobre 2016 all’interno della Cisterna, uno degli edifici industriali preesistenti che costituiscono la sede di Milano.

Curato dal Thought Council della Fondazione Slight Agitation si sviluppa in quattro fasi successive che vedono la partecipazione di artisti internazionali come Tobias Putrih (Slovenia, 1972).
Il nome del progetto richiama la formula poetica “une légère agitation” con cui lo storico francese Fernand Braudel ha descritto in una sua opera la marea del Mediterraneo. L’espressione è mutuata per indicare interventi di artisti diversi fra loro, sia in termini teorici che pragmatici, chiamati a interferire e dialogare con il contesto spaziale e a imprimere con i loro lavori una nuova tensione creativa all’interno della sede di Milano.

Noto per le sue sculture e installazioni architettoniche che hanno l’aspetto di modelli, prototipi e provvisorie configurazioni di un processo concettuale, spesso critico o utopico, Tobias Putrih realizza il primo intervento di “Slight Agitation”.

I tre ambienti della Cisterna assumono, grazie al suo progetto, tre conformazioni distinte che interrogano le nozioni di gioco, emancipazione e politica: un teatro per una costruzione di mattoni in continua evoluzione, una blind room tattile e una scultura che si trasforma in labirinto.

Nel suo complesso l’intervento di Putrih ha l’aspetto di un gioco da abitare. Nella diverse declinazioni ricorda inizialmente l’innocenza infantile e la sorpresa delle prime scoperte attraverso il gioco, per poi costituire un mondo autonomo in scala reale, legato alla dimensione immaginativa tipica delle esperienze ludiche dell’infanzia. Con questo progetto, l’artista fa esplicito riferimento a molti precedenti storici che si collocano tra arte, architettura e pedagogia sperimentale: dal Kindergarten di Friedrich Fröbel ai cubi di legno di Frank Lloyd Wright, dal Vorkurs, il corso preparatorio per gli aspiranti studenti del Bauhaus ideato da Johannes Itten, ai giochi dada e surrealisti, dalle controculture degli anni Sessanta al World Game sviluppato da Buckminster Fuller.

Con il suo lavoro l’artista esplora i limiti e le possibilità dell’apprendimento attraverso la pratica ludica, trasportando l’esperienza fisica di un gioco a scala reale sul piano politico della negoziazione e analisi dei comportamenti collettivi. Al posto di concepire un meccanismo per un giocatore solitario con regole predefinite, Putrih inventa un ambiente dinamico in costante evoluzione che coinvolge il pubblico, i curatori e l’artista stesso e prevede collaborazione e interazione attiva tra soggetti.

 

Tobias Putrih, Obfuscation (2016)

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