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La London Art Week vede anche quest'anno lo svolgersi di importanti fiere d'arte nella capitale londinese. Da Other Art Fair - la fiera per artisti emergenti di Saatchi - alla fiera di Urban Art Moniker, fino a Pad, dedicata al design e all'arte moderna, innumerevoli sono le gallerie d'Europa e di tutto il mondo coinvolte nelle esposizioni.
La parte del leone la fa ovviamente Frieze, nella sua triplice declinazione: Frieze London e Frieze Masters, con l'aggiunta di Frieze Sculpture, che vede nuovamente - già da tutta l'estate - il Regent's Park ospitare una serie di importanti opere di scultura outdoor.
Le gallerie presentate da Frieze sono 160, coinvolte in un contesto che - grazie ai curatori del board Diana Campbell Betancourt, Andrew Bonacina e Laura McLean-Ferris - si discosta dal più classico concetto di "fiera d'arte" per avvicinarsi, tramite le sezioni tematiche e l'attenzione alla programmazione, ad una grande esibizione collettiva. Con una particolare attenzione al tema centrale di questa stagione, ovvero il fatto che le artiste donne siano ancora poco rappresentate nel mondo dell'arte, specialmente in quello del suo mercato.

Abbiamo selezionato dieci opere, scelte fra le tre sezioni di Frieze, tra le più rappresentative.

1
Bernd + Hilla Becher “Industrial Facades” 1963/1985 (Sprüth Magers - Berlino)
Bernd e Hilla Becher sono una coppia di fotografi tedeschi che, oltre a lasciare una imponente produzione a testimonianza dell'architettura industriale occidentale - tra l'America e l'Europa - della seconda metà del Novecento, hanno rappresentato una fondamentale influenza per tutte le generazioni di fotografi che li hanno seguiti: un esempio su tutti il loro Allievo Andreas Gursky. Le Facciate Industriali, qui raffigurate, sono uno dei temi classici dei Becher, che col loro approccio estetico hanno grandemente contribuito al passaggio tra la fotografia documentale e quella artistica.

2
Tim Etchells “Everything is Lost”, 2018 (Vitrine Gallery - London)
Con quest'opera pubblica site specific, creata appositamente per Frieze Sculpture 2018, Tim Etchells - scrittore e artista inglese, conosciuto soprattutto per essere il leader del gruppo performativo Forced Entertainment - presenta una rappresentazione grafica del concetto espresso dalla semplice frase "Tutto è perduto": le lettere stanno allontanandosi tra loro, come galassie in fuga da un centro che appare ormai irrimediabilmente abbandonato; il punto di non ritorno è stato superato.

3
OSGEMEOS “Irie Voice”, 2016 (Lehmann Maupin - NY)
Un'opera del duo OSGEMEOS che segue la recente tendenza dei gemelli brasiliani ad andare oltre la propria identità legata a graffiti e street art per una dimensione più immersiva, interiore, con installazioni e lavori di studio. L'influenza della cultura musicale si palesa qui in chiave immediata e sensoriale, grazie all'utilizzo di media player, amplificatore, drive USB e bluetooth.

4
Ernesto Neto “Bubbles body, Bubblies art, Bubblles life into us” 2012 (Tanya Bonakdar Gallery - NY)
L'opera di Ernesto Neto, come sempre astratta ma resa concreta dalla matericità che invita lo spettatore all'interazione, utilizza le bolle come elementi atomici e minimali tenuti assieme dalla rete. L'artista si pone come obiettivo un coinvolgimento spirituale e meditativo dello spettatore al cospetto delle sue opere, con forti richiami alla sacralità della natura, e per farlo punta spesso ad un approccio multisensoriale, usando di frequente elementi quali spezie profumate come pepe nero, cumino o curcuma.

5
Sarah Lucas “Lupe” 2014 (Sadie Coles - London)
L'opera di Sarah Lucas, irriverente e audace artista inglese tra i massimi esponenti del movimento della Young British Art, ancora una volta tratta tematiche legate all'archetipo del corpo femminile, ma non solo: l'opera qui presentata fa parte di una serie che si spoglia degli abituali eufemismi e doppi sensi spesso volutamente volgari, mentre insiste su una riflessione nei confronti del tempo, e richiama antiche civiltà, ricordando una sorta di dea Afrodite dai mille seni.

6
Inge Mahn “Auto (Car)” 2016 (Galerie Karin Guenther, Hamburg / Kadel Willborn - Düsseldorf)
La scultura di Inge Mahn si caratterizza per il fatto di utilizzare i ready-made - decontestualizzati e generalmente spogliati del loro significato - come elementi strutturali per le proprie opere. Gli oggetti, svuotati anche cromaticamente di significato, resi vergini dal colore bianco, reagiscono alle strutture sociali ed architettoniche e ridefiniscono il punto di vista dello spettatore riguardo allo spazio e alle funzioni. Nell'opera qui presentata, una sedia si fa sedile d'auto, che diventa autonomo e dotato di anima, evidenziata dal volante/aureola che sostiene.

7
Anthea Hamilton “Leg Chair (Cigarettes)” 2014 (Thomas Dane Gallery - London)
Autoritratti atipici quelli di Anthea Hamilton, che utilizza le gambe dell'artista per creare una serie di sculture in cui la posa è sempre la stessa, ma ognuna caratterizzata da una propria unicità. Il tema è di volta in volta un elemento che appartiene all'immaginario immediato dell'artista: un cibo esotico, le sigarette, le foto di celebrità ammirate. Nello scherzare col concetto di design e nel raccontare piccole, grandi passioni inserendole in una cornice sensuale, l'umorismo dell'artista si rende particolarmente evidente.

8
Heidi Melano/after Fernand Léger, “Etude pour la Femme et l’enfant” (Galerie Thomas, Munich)
Il lascito dell'opera di Fernand Léger, pittore, decoratore e ceramista è andato ben oltre la vita dell'artista: per anni, infatti, George Bauquier - direttore del museo dedicato a Léger dalla vedova - ha continuato a commissionare ad artisti la trasformazione di opere del maestro francese in nuovi murales o mosaici. L'opera qui presente fu realizzata da Heidi Melano basandosi su un quadro di Léger del 1923: il risultato è estremamente coerente con l'originale, sia per l'utilizzo del media che per la brillantezza della resa cromatica.

9
Vlassis Caniaris “Urinals of History” 1980 (Galerie Peter Kilchmann - Zürich)
L'opera di Vlassis Caniaris, consisente in tre figure umane che urinano contro un muro che richiama agli slogan politici presenti sui muri di Atene durante l'occupazione nazista o la dittatura dei colonnelli, fa diretto riferimento al fatto che, secondo l'artista, il popolo greco abbia - negli ultimi decenni - tentato di compiere uno sforzo collettivo con l'intento di cancellare certe memorie del proprio passato, con lo spiacevole effetto collaterale di aver sistematicamente distrutto parte delle loro tradizioni.

10
Richard Woods “Holiday Home” 2018 (Alan Cristea Gallery – London)
La casetta di Richard Woods, architetto, designer e scultore britannico, è diventata un elemento ricorrente che l'artista pone nei più svariati contesti - sulla collina, sulla spiaggia, o anche come in questo caso in un parco - e che ogni volta rappresenta, anche nel titolo dell'opera, la seconda casa o la casa delle vacanze. Una casa in realtà invivibile, dalla cui porta non si entra e dalle cui finestre non ci si affaccia, che vuole sottolineare il paradosso diffuso del possedere una seconda casa quando si ha difficoltà a mantenerne una, mentre al contempo esistono persone che non riescono ad avere neppure la prima

 

Pubblicato in Il Giornale

La mostra “Mint” alla Cortesi Gallery, a cura di Francesca Pola, è la prima mostra personale mai presentata a Londra dell’artista olandese Jan Henderikse (1937), una figura cardine nell’arte europea del XX secolo, la cui importanza sta gradualmente guadagnando l’attenzione internazionale. Riunisce una serie di esempi altamente significativi del suo lavoro, per ripercorrere le tappe fondamentali della sua carriera creativa.
Dagli anni Cinquanta, il lavoro di Henderikse si è sviluppato oltre le tradizionali nozioni di pittura e scultura, per ridefinire le coordinate dell’immaginario artistico: in primo luogo, neutralizzando la superficie nel monocromo; poi, dal 1959, impiegando materiali e tecniche non convenzionali in composizioni “allover” che connotano il suo distintivo linguaggio. Henderikse cerca oggetti usati quotidianamente (come cassette da frutta vuote, bottiglie, tappi di sughero, targhe automobilistiche, monete, banconote, parti di giocattoli, fotografie trovate e altro), che percepisce carichi di contenuti e interessi umani ed emotivi, e li combina in assemblaggi e accumulazioni seriali, sequenze e installazioni multimediali, per mostrare il potere immediato del loro significato. Come oggetti presi direttamente dal mondo e lasciati nel loro stato originario, parlano degli istanti della vita cui sono appartenuti e razionalizzano questo carico emotivo in un’immagine poetica sospesa, creando un’empatia immediata con lo spettatore. Questa potenziale molteplicità di riferimenti impliciti in ogni oggetto è esemplificata dal titolo della mostra, poiché la parola “mint” può indicare tre diversi tipi di oggetti: una caramella, una moneta o una cosa preziosa in buone condizioni (“mint condition”). Il lavoro di Henderikse intende svelare proprio questo inevitabile e poetico scontro tra piacere e valore, transitorio e permanente, ordinario e straordinario. La mostra prende avvio da un raro lavoro monocromo del 1959, per svilupparsi in alcune tipologie cruciali dei suoi assemblaggi del 1960: presentando opere realizzate con tappi di sughero, casse, bottiglie, monete, targhe automobilistiche combinate con tappezzerie trovate. Questi pezzi incarnano le affinità di Henderikse con i movimenti a lui contemporanei degli anni Sessanta: da un lato, ZERO nella riduzione dei mezzi espressivi, nel rifiuto della soggettività emotiva e nella ripetizione delle strutture; dall’altra, Nouveau Réalisme e Pop Art nell’interesse per gli oggetti e la cultura del consumismo. Tuttavia, è importante sottolineare l’unicità e la specificità del lavoro di Henderikse in questo contesto: non solo perché combina tutti questi diversi aspetti in un’unica visione, ma anche perché il suo esclusivo focus è sugli oggetti trovati nel flusso di rifiuti della nostra civiltà che hanno un memoria umana: quanto più banale o umile, meglio è. Tutti questi oggetti d’affezione interessano l’artista in quanto sono stati usati: nei suoi lavori realizzati con essi, unisce il popolare e l’intellettuale, il collettivo e l’individuale, la fisicità della loro presenza materiale e l’immaterialità del loro potere evocativo.
L’esposizione presenta anche opere raramente viste degli anni Settanta e Ottanta, come le sue sequenze fotografiche concettuali, ad esempio quella dedicata alle intersezioni di Broadway, o quelle che lui chiama “rejected photographs” (“fotografie rifiutate”): momenti della vita che sono stati fotografati e dimenticati dalla gente che li ha vissuti. O le opere “shredded money” (letteralmente, fatte di “soldi triturati”), costituite da enormi quantità di banconote fuori corso, meticolosamente strappate in frammenti e ammucchiate in grandi volumi geometrici e apparentemente monocromi. Caratteristiche e uniche della mostra londinese sono poi un certo numero di opere che l’artista ha concepito appositamente per questa occasione: una grande installazione che combina centinaia di tappi con parole inglesi al neon, un sorprendente muro con decine di figurine di giocatori di baseball, e un nuova e inedita tipologia di lavori monocromi con tappi di sughero del 2018.

Jan Henderikse - targhe su tavola, Cortesy Gallery

Pubblicato in Selfie ad Arte

La mostra “Mint” alla Cortesi Gallery, a cura di Francesca Pola, è la prima mostra personale mai presentata a Londra dell’artista olandese Jan Henderikse (1937), una figura cardine nell’arte europea del XX secolo, la cui importanza sta gradualmente guadagnando l’attenzione internazionale. Riunisce una serie di esempi altamente significativi del suo lavoro, per ripercorrere le tappe fondamentali della sua carriera creativa.
Dagli anni Cinquanta, il lavoro di Henderikse si è sviluppato oltre le tradizionali nozioni di pittura e scultura, per ridefinire le coordinate dell’immaginario artistico: in primo luogo, neutralizzando la superficie nel monocromo; poi, dal 1959, impiegando materiali e tecniche non convenzionali in composizioni “allover” che connotano il suo distintivo linguaggio. Henderikse cerca oggetti usati quotidianamente (come cassette da frutta vuote, bottiglie, tappi di sughero, targhe automobilistiche, monete, banconote, parti di giocattoli, fotografie trovate e altro), che percepisce carichi di contenuti e interessi umani ed emotivi, e li combina in assemblaggi e accumulazioni seriali, sequenze e installazioni multimediali, per mostrare il potere immediato del loro significato. Come oggetti presi direttamente dal mondo e lasciati nel loro stato originario, parlano degli istanti della vita cui sono appartenuti e razionalizzano questo carico emotivo in un’immagine poetica sospesa, creando un’empatia immediata con lo spettatore. Questa potenziale molteplicità di riferimenti impliciti in ogni oggetto è esemplificata dal titolo della mostra, poiché la parola “mint” può indicare tre diversi tipi di oggetti: una caramella, una moneta o una cosa preziosa in buone condizioni (“mint condition”). Il lavoro di Henderikse intende svelare proprio questo inevitabile e poetico scontro tra piacere e valore, transitorio e permanente, ordinario e straordinario. La mostra prende avvio da un raro lavoro monocromo del 1959, per svilupparsi in alcune tipologie cruciali dei suoi assemblaggi del 1960: presentando opere realizzate con tappi di sughero, casse, bottiglie, monete, targhe automobilistiche combinate con tappezzerie trovate. Questi pezzi incarnano le affinità di Henderikse con i movimenti a lui contemporanei degli anni Sessanta: da un lato, ZERO nella riduzione dei mezzi espressivi, nel rifiuto della soggettività emotiva e nella ripetizione delle strutture; dall’altra, Nouveau Réalisme e Pop Art nell’interesse per gli oggetti e la cultura del consumismo. Tuttavia, è importante sottolineare l’unicità e la specificità del lavoro di Henderikse in questo contesto: non solo perché combina tutti questi diversi aspetti in un’unica visione, ma anche perché il suo esclusivo focus è sugli oggetti trovati nel flusso di rifiuti della nostra civiltà che hanno un memoria umana: quanto più banale o umile, meglio è. Tutti questi oggetti d’affezione interessano l’artista in quanto sono stati usati: nei suoi lavori realizzati con essi, unisce il popolare e l’intellettuale, il collettivo e l’individuale, la fisicità della loro presenza materiale e l’immaterialità del loro potere evocativo.
L’esposizione presenta anche opere raramente viste degli anni Settanta e Ottanta, come le sue sequenze fotografiche concettuali, ad esempio quella dedicata alle intersezioni di Broadway, o quelle che lui chiama “rejected photographs” (“fotografie rifiutate”): momenti della vita che sono stati fotografati e dimenticati dalla gente che li ha vissuti. O le opere “shredded money” (letteralmente, fatte di “soldi triturati”), costituite da enormi quantità di banconote fuori corso, meticolosamente strappate in frammenti e ammucchiate in grandi volumi geometrici e apparentemente monocromi. Caratteristiche e uniche della mostra londinese sono poi un certo numero di opere che l’artista ha concepito appositamente per questa occasione: una grande installazione che combina centinaia di tappi con parole inglesi al neon, un sorprendente muro con decine di figurine di giocatori di baseball, e un nuova e inedita tipologia di lavori monocromi con tappi di sughero del 2018.

Jan Henderikse - blocco di banconote di dollari triturati, Cortesy Gallery

Pubblicato in Selfie ad Arte

La mostra “Mint” alla Cortesi Gallery, a cura di Francesca Pola, è la prima mostra personale mai presentata a Londra dell’artista olandese Jan Henderikse (1937), una figura cardine nell’arte europea del XX secolo, la cui importanza sta gradualmente guadagnando l’attenzione internazionale. Riunisce una serie di esempi altamente significativi del suo lavoro, per ripercorrere le tappe fondamentali della sua carriera creativa.
Dagli anni Cinquanta, il lavoro di Henderikse si è sviluppato oltre le tradizionali nozioni di pittura e scultura, per ridefinire le coordinate dell’immaginario artistico: in primo luogo, neutralizzando la superficie nel monocromo; poi, dal 1959, impiegando materiali e tecniche non convenzionali in composizioni “allover” che connotano il suo distintivo linguaggio. Henderikse cerca oggetti usati quotidianamente (come cassette da frutta vuote, bottiglie, tappi di sughero, targhe automobilistiche, monete, banconote, parti di giocattoli, fotografie trovate e altro), che percepisce carichi di contenuti e interessi umani ed emotivi, e li combina in assemblaggi e accumulazioni seriali, sequenze e installazioni multimediali, per mostrare il potere immediato del loro significato. Come oggetti presi direttamente dal mondo e lasciati nel loro stato originario, parlano degli istanti della vita cui sono appartenuti e razionalizzano questo carico emotivo in un’immagine poetica sospesa, creando un’empatia immediata con lo spettatore. Questa potenziale molteplicità di riferimenti impliciti in ogni oggetto è esemplificata dal titolo della mostra, poiché la parola “mint” può indicare tre diversi tipi di oggetti: una caramella, una moneta o una cosa preziosa in buone condizioni (“mint condition”). Il lavoro di Henderikse intende svelare proprio questo inevitabile e poetico scontro tra piacere e valore, transitorio e permanente, ordinario e straordinario. La mostra prende avvio da un raro lavoro monocromo del 1959, per svilupparsi in alcune tipologie cruciali dei suoi assemblaggi del 1960: presentando opere realizzate con tappi di sughero, casse, bottiglie, monete, targhe automobilistiche combinate con tappezzerie trovate. Questi pezzi incarnano le affinità di Henderikse con i movimenti a lui contemporanei degli anni Sessanta: da un lato, ZERO nella riduzione dei mezzi espressivi, nel rifiuto della soggettività emotiva e nella ripetizione delle strutture; dall’altra, Nouveau Réalisme e Pop Art nell’interesse per gli oggetti e la cultura del consumismo. Tuttavia, è importante sottolineare l’unicità e la specificità del lavoro di Henderikse in questo contesto: non solo perché combina tutti questi diversi aspetti in un’unica visione, ma anche perché il suo esclusivo focus è sugli oggetti trovati nel flusso di rifiuti della nostra civiltà che hanno un memoria umana: quanto più banale o umile, meglio è. Tutti questi oggetti d’affezione interessano l’artista in quanto sono stati usati: nei suoi lavori realizzati con essi, unisce il popolare e l’intellettuale, il collettivo e l’individuale, la fisicità della loro presenza materiale e l’immaterialità del loro potere evocativo.
L’esposizione presenta anche opere raramente viste degli anni Settanta e Ottanta, come le sue sequenze fotografiche concettuali, ad esempio quella dedicata alle intersezioni di Broadway, o quelle che lui chiama “rejected photographs” (“fotografie rifiutate”): momenti della vita che sono stati fotografati e dimenticati dalla gente che li ha vissuti. O le opere “shredded money” (letteralmente, fatte di “soldi triturati”), costituite da enormi quantità di banconote fuori corso, meticolosamente strappate in frammenti e ammucchiate in grandi volumi geometrici e apparentemente monocromi. Caratteristiche e uniche della mostra londinese sono poi un certo numero di opere che l’artista ha concepito appositamente per questa occasione: una grande installazione che combina centinaia di tappi con parole inglesi al neon, un sorprendente muro con decine di figurine di giocatori di baseball, e un nuova e inedita tipologia di lavori monocromi con tappi di sughero del 2018.

Jan Henderikse - Untitled 2018, tappi di sughero e neon, Cortesy Gallery

Pubblicato in Selfie ad Arte

Luca Pignatelli, uno degli artisti più interessanti e riconosciuti della sua generazione, presenta per la prima volta a Londra una serie di nuovi lavori di grandi dimensioni, tra cui “Persepoli”, un’opera a tecnica mista su tappeto persiano, esposta in anteprima a Maastricht durante il Tefaf e la cui analoga è ora esposta al museo MAXXI di Roma. Lungi da avere alcun intento provocatorio, pur nella commistione di generi e stili sulla frontiera e frattura tra Occidente e Oriente, gli ultimi lavori di Pignatelli proseguono una linea estetica che l’artista milanese feconda da anni, attraverso il confronto serrato tra contemporaneità e mondo antico.
Al di là dei supporti usati – nello specifico in questa mostra personale alla Senesi Contemporanea i tappeti persiani, i tessuti, i ferri, materiali che sono parte integrante dell’opera – Pignatelli lavora sulle persistenze iconografiche delle diverse civiltà, dal mondo greco a quello arabo, riuscendo ad essere contemporaneo senza negare le numerose stratificazioni presenti nella storia dell’arte sia dal punto di vista del soggetto che della tecnica. La sua è una poetica al tempo stesso lirica e analitica, i suoi lavori sono confortevoli alla vista, poiché ne riconosciamo i modelli, e nello stesso tempo spiazzanti per le variazioni che contengono; partendo da quasi una base astratta e materica Pignatelli, per sovrapposizioni o raschiature, genera nuove e definitive immagini che vanno a corroborare il nostro inconscio.

Luca Pignatelli - Hero

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Luca Pignatelli, uno degli artisti più interessanti e riconosciuti della sua generazione, presenta per la prima volta a Londra una serie di nuovi lavori di grandi dimensioni, tra cui “Persepoli”, un’opera a tecnica mista su tappeto persiano, esposta in anteprima a Maastricht durante il Tefaf e la cui analoga è ora esposta al museo MAXXI di Roma. Lungi da avere alcun intento provocatorio, pur nella commistione di generi e stili sulla frontiera e frattura tra Occidente e Oriente, gli ultimi lavori di Pignatelli proseguono una linea estetica che l’artista milanese feconda da anni, attraverso il confronto serrato tra contemporaneità e mondo antico.
Al di là dei supporti usati – nello specifico in questa mostra personale alla Senesi Contemporanea i tappeti persiani, i tessuti, i ferri, materiali che sono parte integrante dell’opera – Pignatelli lavora sulle persistenze iconografiche delle diverse civiltà, dal mondo greco a quello arabo, riuscendo ad essere contemporaneo senza negare le numerose stratificazioni presenti nella storia dell’arte sia dal punto di vista del soggetto che della tecnica. La sua è una poetica al tempo stesso lirica e analitica, i suoi lavori sono confortevoli alla vista, poiché ne riconosciamo i modelli, e nello stesso tempo spiazzanti per le variazioni che contengono; partendo da quasi una base astratta e materica Pignatelli, per sovrapposizioni o raschiature, genera nuove e definitive immagini che vanno a corroborare il nostro inconscio.

Luca Pignatelli - Ercole

Pubblicato in Selfie ad Arte

Luca Pignatelli, uno degli artisti più interessanti e riconosciuti della sua generazione, presenta per la prima volta a Londra una serie di nuovi lavori di grandi dimensioni, tra cui “Persepoli”, un’opera a tecnica mista su tappeto persiano, esposta in anteprima a Maastricht durante il Tefaf e la cui analoga è ora esposta al museo MAXXI di Roma. Lungi da avere alcun intento provocatorio, pur nella commistione di generi e stili sulla frontiera e frattura tra Occidente e Oriente, gli ultimi lavori di Pignatelli proseguono una linea estetica che l’artista milanese feconda da anni, attraverso il confronto serrato tra contemporaneità e mondo antico.
Al di là dei supporti usati – nello specifico in questa mostra personale alla Senesi Contemporanea i tappeti persiani, i tessuti, i ferri, materiali che sono parte integrante dell’opera – Pignatelli lavora sulle persistenze iconografiche delle diverse civiltà, dal mondo greco a quello arabo, riuscendo ad essere contemporaneo senza negare le numerose stratificazioni presenti nella storia dell’arte sia dal punto di vista del soggetto che della tecnica. La sua è una poetica al tempo stesso lirica e analitica, i suoi lavori sono confortevoli alla vista, poiché ne riconosciamo i modelli, e nello stesso tempo spiazzanti per le variazioni che contengono; partendo da quasi una base astratta e materica Pignatelli, per sovrapposizioni o raschiature, genera nuove e definitive immagini che vanno a corroborare il nostro inconscio.

Luca Pignatelli - Persepolis

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La London Art Week vede anche quest'anno lo svolgersi di importanti fiere d'arte nella capitale londinese. Da Other Art Fair - la fiera per artisti emergenti di Saatchi - alla fiera di Urban Art Moniker, fino a Pad, dedicata al design e all'arte moderna, innumerevoli sono le gallerie d'Europa e di tutto il mondo coinvolte nelle esposizioni.
La parte del leone la fa ovviamente Frieze, nella sua triplice declinazione: Frieze London e Frieze Masters, con l'aggiunta di Frieze Sculpture, che vede nuovamente - già da tutta l'estate - il Regent's Park ospitare una serie di importanti opere di scultura outdoor.
Le gallerie presentate da Frieze sono 160, coinvolte in un contesto che - grazie ai curatori del board Diana Campbell Betancourt, Andrew Bonacina e Laura McLean-Ferris - si discosta dal più classico concetto di "fiera d'arte" per avvicinarsi, tramite le sezioni tematiche e l'attenzione alla programmazione, ad una grande esibizione collettiva. Con una particolare attenzione al tema centrale di questa stagione, ovvero il fatto che le artiste donne siano ancora poco rappresentate nel mondo dell'arte, specialmente in quello del suo mercato.

#HaroonGunn-Salie “Senzenina” 2018, Goldman Gallery
Senzenina vede l’artista e attivista Haroon Gunn-Salie sollevare interrogativi sulla complicità della multinazionale e della polizia, proiettando figure a grandezza naturale, curve e fantasma apparentemente rannicchiato davanti allo spettatore in un’esibizione di resa, incarnando il massacro di Marikana, l’uso più letale della forza dalle forze di sicurezza sudafricane contro i civili dagli anni ’60.

 
 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La London Art Week vede anche quest'anno lo svolgersi di importanti fiere d'arte nella capitale londinese. Da Other Art Fair - la fiera per artisti emergenti di Saatchi - alla fiera di Urban Art Moniker, fino a Pad, dedicata al design e all'arte moderna, innumerevoli sono le gallerie d'Europa e di tutto il mondo coinvolte nelle esposizioni.
La parte del leone la fa ovviamente Frieze, nella sua triplice declinazione: Frieze London e Frieze Masters, con l'aggiunta di Frieze Sculpture, che vede nuovamente - già da tutta l'estate - il Regent's Park ospitare una serie di importanti opere di scultura outdoor.
Le gallerie presentate da Frieze sono 160, coinvolte in un contesto che - grazie ai curatori del board Diana Campbell Betancourt, Andrew Bonacina e Laura McLean-Ferris - si discosta dal più classico concetto di "fiera d'arte" per avvicinarsi, tramite le sezioni tematiche e l'attenzione alla programmazione, ad una grande esibizione collettiva. Con una particolare attenzione al tema centrale di questa stagione, ovvero il fatto che le artiste donne siano ancora poco rappresentate nel mondo dell'arte, specialmente in quello del suo mercato.

 

Urs Fischer "Francesco" 2017 Sadie Coles HQ - London
Un uomo, scolpito in maniera realistica ma con carne e barba dal color rosso acceso è in piedi in cima a una frigorifero, guardando il suo smartphone. E' un gioco contraddittorio sulla classica scultura con piedistallo. Il soggetto dell'opera è Francesco Bonami, famoso curatore italiano e recente apolgeca di Damien Hirst. Ma non è tutto come sembra: questa è una delle sculture di Fischer fatte con cera di paraffina. E' una candela, e nello spirito dell'arte degli anni '60, è "autodristuttiva". Perchè l'opera sia compiuta il suo stoppino deve essere acceso e deve sciogliersi. Se un collezionista la acquista, i costi di produzione possono essere pagati, può essere ricostruita ed il ciclo ricominciare.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La London Art Week vede anche quest'anno lo svolgersi di importanti fiere d'arte nella capitale londinese. Da Other Art Fair - la fiera per artisti emergenti di Saatchi - alla fiera di Urban Art Moniker, fino a Pad, dedicata al design e all'arte moderna, innumerevoli sono le gallerie d'Europa e di tutto il mondo coinvolte nelle esposizioni.
La parte del leone la fa ovviamente Frieze, nella sua triplice declinazione: Frieze London e Frieze Masters, con l'aggiunta di Frieze Sculpture, che vede nuovamente - già da tutta l'estate - il Regent's Park ospitare una serie di importanti opere di scultura outdoor.
Le gallerie presentate da Frieze sono 160, coinvolte in un contesto che - grazie ai curatori del board Diana Campbell Betancourt, Andrew Bonacina e Laura McLean-Ferris - si discosta dal più classico concetto di "fiera d'arte" per avvicinarsi, tramite le sezioni tematiche e l'attenzione alla programmazione, ad una grande esibizione collettiva. Con una particolare attenzione al tema centrale di questa stagione, ovvero il fatto che le artiste donne siano ancora poco rappresentate nel mondo dell'arte, specialmente in quello del suo mercato.

 

Anthea Hamilton Leg Chair (Cigarettes) 2014, Thomas Dane Gallery - London
Autoritratti atipici quelli di Anthea Hamilton, che utilizza le gambe dell'artista per creare una serie di sculture in cui la posa è sempre la stessa, ma ognuna caratterizzata da una propria unicità. Il tema è di volta in volta un elemento che appartiene all'immaginario immediato dell'artista: un cibo esotico, le sigarette, le foto di celebrità ammirate. Nello scherzare col concetto di design e nel raccontare piccole, grandi passioni inserendole in una cornice sensuale, l'umorismo dell'artista si rende particolarmente evidente.

 

 

 

 

 

 

 

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