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Manazza, l’alchimista del colore che sperimenta la forma
15 Giu

Manazza, l’alchimista del colore che sperimenta la forma

Dall'8 giugno 2016, alla galleria Robilant+Voena di Milano c'è "Untitled" di Paolo Manazza.

La mostra presenta alcuni dei più recenti lavori pittorici dell'artista milanese che nasce giornalista di economia dell'arte e critico d'arte ma che rivela il sé pittore in maniera sorprendente nel 2008, nella sua prima esposizione presso la Fondazione Maimeri.

La sua pittura, se da un lato pare essere composta di opere che nascono da un flusso di coscienza automatico completandosi da sole, dall'altro rivela un atteggiamento di ricerca: quella del significato del colore, e del suo rapporto nei confronti della forma.

Questa ricerca non appare però razionale, ma piuttosto emotiva. L'arte di Manazza riesce infatti a realizzare l'obiettivo auspicato da Kandinsky, ovvero quello di emozionare; e nei suoi accostamenti cromatici pare creare vibrazioni che si muovono in una dimensione profonda e spirituale, aprendo al mondo trascendente e facendo così proprio il messaggio dello stesso Kandinsky, ma anche di Rothko.

Untitled resterà alla Robilant+Voena fino all'8 luglio 2016.

Ciacciofera rilegge l’incanto della natura
09 Apr

Ciacciofera rilegge l’incanto della natura

A Palazzo Chiesa (C.so Venezia 36, Milano), sede della banca d’affari Primus Capital, s’inaugura in questi giorni la Divisione Arte della banca con la mostra Enchanted Nature, revisited, personale di Michele Ciacciofera.
Di origine sarda, l’artista ha vissuto molti anni in Sicilia, e queste due terre lo hanno decisamente influenzato – al pari dei suoi numerosi viaggi – nella vita come nell’arte.

Un’arte di spirito mediterraneo, segnata da un approccio anarchico e istintivo nella forma espressiva, che lo porta a non ritrovarsi mai vincolato a un particolare mezzo, come anche a non restare confinato nella definizione di artista figurativo o astratto: per esprimersi ricorre con una naturale versatilità all’utilizzo di molteplici forme espressive, sempre però accomunate da una matericità che porta a instaurare con lo spettatore un rapporto sensoriale, quasi epidermico.

In questa mostra Ciacciofera osserva la natura, e – come implica il titolo – la rilegge, andando oltre: l’accento è posto sulla memoria, sugli archetipi che sempre guidano il percorso dell’uomo: tra disegni e ceramiche, l’artista espone anche fossili di centinaia di milioni di anni, perfetti ready-made rivisitati, rivitalizzati e posti a dialogare con le opere. Nelle quali le sostanze, anche non pittoriche (cenere, polvere, argilla, resina…) s’accumulano sulle tele insieme al materiale pittorico.

Pietro Ruffo racconta tutto il resto del mondo
02 Apr

Pietro Ruffo racconta tutto il resto del mondo

Si definisce “disegnatore”. Ma l’arte di Pietro Ruffo è molto più complessa: la tridimensionalità la rende scultura, la progettualità è quella dell’architetto (Ruffo lo è); l’approccio concettuale è quello di un ricercatore, uno storico, quasi un filosofo. E il risultato è estremamente poetico.

Il risultato degli ultimi dieci anni di lavoro di Ruffo, Breve storia del resto del mondo, è esposto da domani a Catania, alla Fondazione Puglisi Cosentino. E lo stesso Emmanuele Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro-Italia e Mediterraneo, che cura l’evento, sottolinea che l’atteggiamento creativo di Ruffo è quello che Albert Einstein riteneva dovesse essere: ovvero, “l’intelligenza che si diverte”.

La mostra segue un percorso non cronologico ma in forma di racconto: dal colonialismo alla questione mediorientale, dalle proteste degli anni ’60 ai regimi coloniali, dalla primavera araba ai profughi dei nostri giorni, il focus è sempre incentrato sul concetto di libertà, da tutti i punti di vista – collettiva, privata, di Stato – e su quali possano esserne gli effetti.

La Sicilia, porta d’ingresso italiana ai nuovi flussi migratori, è più che mai sede ideale per un’esposizione di questa natura. In tal senso, particolarmente toccante è l’opera con cui la mostra si chiude, Madri del Mar di Sicilia, una considerazione sulle madri che affrontano enormi traversie cercando di salvare i propri figli.

Marta Sesana colori e inquetudini
15 Gen

Marta Sesana colori e inquetudini

Una delle caratteristiche che rendono eccellente un pittore figurativo, e lo elevano al di sopra degli altri a prescindere da ogni ulteriore aspetto, è la sua capacità di dare corpo alle forme. Di creare una pittura estremamente volumica, addirittura tridimensionale; è una qualità che non dipende dalle capacità tecniche (o, meglio, non si esaurisce in esse), ma che fa parte del talento puro di un artista.

Marta Sesana, pittrice milanese, classe 1981, in questo è maestra. Le sue figure umane, così plastiche (anche nel senso dell’apparente materiale: danno infatti l’impressione di essere create con la plastilina), paiono quasi uscire dalla tela. Il loro aspetto surreale passa quasi in secondo piano, rispetto a quanto in effetti appaiano reali grazie al tocco della pittrice. Ed in effetti la surrealtà delle figure di Marta cela invece un approccio più realista, quasi quotidiano, in cui vengono raccontate e dipinte persone che si ritrovano in situazioni comuni – seppur spesso speciali, come nel caso della folla multicolore dei giovani di “Piazza d’Uomo” – così come scenari naturali e non invece luoghi utopici, come nel caso del trittico “La Foresta”. Ma la pittura della Sesana, col suo lavoro che parte dal ritratto di un bozzetto tridimensionale costituito da volumi reali, per poi passare al disegno e all’aggiunta di luci e colori, cerca di rivelare le verità nascoste delle cose raffigurandone dei simulacri, delle metafore. Che si svolgono tra l’onirico e l’ironico, dove il secondo aspetto è la chiave di lettura che permette la contestualizzazione nella realtà quotidiana del primo.

Come si conviene a chi cerchi nella psichedelia uno strumento di approfondimento e non di mero annullamento dell’ego, quindi, le persone e le realtà raffigurate da Marta Sesana vogliono essere decisamente realiste ed espressive, descrivendo una realtà mimetizzata e non naturalistica, in cui si cerca di approfondire l’aspetto emotivo. Ecco il perché del suo utilizzo dei colori, forti e realmente vivi: la cromìa dell’artista ha una funzione fortemente espressionista, i suoi colori hanno il compito di evocare le inquietudini, gli stati d’animo e gli aspetti meno visibili delle persone e delle situazioni ritratte.

Marta Sesana esporrà, dal 13 febbraio al 22 marzo 2014, alla galleria “Antonio Colombo Arte Contemporanea”, nel contesto della doppia personale “On The Border”, assieme a Carlos Donjuan e curata da Luca Beatrice.

I sogni deformati di Dario Puggioni
08 Gen

I sogni deformati di Dario Puggioni

È spesso difficile, per i giovani talenti italiani, riuscire a farsi spazio nel nostro Paese. Non perché manchino stimoli per il giusto fermento creativo, ma piuttosto perché le gallerie stesse sembrano tenere in poca considerazione la possibilità di investire su nuovi artisti. Se a questo uniamo l’aspetto apparentemente decostruzionista di Dario Puggioni – che entra inevitabilmente in conflitto con quello che in Italia ci si aspetta da un “ritrattista” – appare chiaro il motivo che lo ha spinto ad ingrandire le fila di quella “fuga di pennelli” che spesso porta gli stessi a cercare una dimensione più consona; come può essere, nel caso del nostro, quella di Berlino.

La decisione di partire è maturata appena uscito dall’Accademia di Belle Arti di Roma, nel 2008, alla fine di un percorso di studi che ha ripreso dopo alcuni anni sabbatici perché incapace di resistere alla pressione delle “visioni” che gli si presentavano in sogno come durante la veglia: immagini influenzate da passioni antiche dell’artista, come lo studio delle scienze naturali ed in particolare dell’entomologia, che – insieme con le inquietudini e le domande personali cui cercava risposta – lo hanno portato a immaginare delle ipotetiche evoluzioni del corpo umano verso la formazione di nuovi organi di senso.

I volti trasformati di Puggioni, se da un lato ricordano le opere di artisti della sua generazione dallo stesso apprezzati, come i “Pie Face” di Adrian Ghenie o i visi oltraggiati del nostro Nicola Samorì, dall’altro se ne distanziano perché in essi sono preponderanti l’aspetto decostruttivo e quello dissacrante; in questo senso, tornano maggiormente alla mente artisti come Odd Nerdrum (che Puggioni ammira in modo particolare) o Gottfried Helnwein.

La ricerca di Dario Puggioni è iniziata dopo che si faceva insistente una domanda. Ci dice: “Qual è il confine, il limite che c’è fra noi e il mondo? Riuscii a trovare risposta in un paio di testi di Gilles Deleuze, che parlavano appunto di una “Logica della sensazione” attraverso il lavoro di Bacon. Il limite siamo noi, o meglio lo è il nostro corpo”

Si parla quindi di un corpo fisico che contiene il nostro Io, ma che così facendo – di fatto – lo “contiene” anche nel senso che ne limita l’espansione verso l’esterno, e ne tarpa la sensibilità. I corpi, i visi di Puggioni cercano un nuovo modo di percepire la realtà. Come insetti in rapida evoluzione, i suoi umani sviluppano nuovi organi, che nascono attraverso gli strati della figura ritratta (“dipingo vari layer uno sopra l’altro, e li metto o li tolgo a seconda delle sensazioni. Scavando all’interno degli strati, come un archeologo, vado oltre le nostre sovrastrutture e cerco il nucleo essenziale, la vera essenza dell’uomo”) e la deformano, la allungano, alla ricerca di una nuova sensibilità.

Si tratta di tentativi di evoluzione che a volte sono vincenti, e che spesso falliscono, portando solo a deformità che però rappresentano a loro volta il punto di partenza verso una nuova evoluzione.

In questo senso, la ricerca di Puggioni non è tanto orientata verso il dolore, o verso la sconfitta ed il fallimento – che sono comunque aspetti che l’artista tratta – quanto verso il tentativo di superare una fisicità che limita, andando oltre il ritratto e oltre il corpo, raffigurando di volta in volta il risultato di una nuova evoluzione, che sia vincente o che non lo sia.

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