La mostra “Il Respiro della Luce” alla Cortesi Gallery a Milano (12/9 – 15/11), curata da Francesca Pola, è la prima mostra monografica dedicata all’artista Heinz Marck in Italia e intende ripercorrere il suo intero iter creativo. Si colloca a quasi sessant’anni dalla sua prima personale italiana, che si tenne nel 1960, proprio a Milano, alla Galleria Azimut, su invito di Enrico Castellani e Piero Manzoni, seguita da quella del 1963 alla Galleria Cadario.
Heinz Mack (Lollar, 1931) è una figura fondamentale nell’arte della seconda metà del XX secolo: artista radicale e rivoluzionario, attivo dagli anni Cinquanta nel segno di un’essenzialità espressiva e operativa in continuo rinnovamento.
Realizzata in stretta collaborazione con l’artista e il suo studio, l’esposizione raccoglie una serie di esempi fondamentali del suo lavoro, concentrandosi su uno dei nodi principali della sua riflessione creativa: la relazione tra luce, colore, struttura e spazio. Le opere esposte, molte delle quali di grande dimensione, vanno dal 1959 al 2018 e segnano momenti cruciali di un’attività creativa che ha visto Mack collocarsi precocemente tra i protagonisti della scena artistica internazionale.
Tutto il lavoro di Mack si è da sempre concentrato sul ruolo fondamentale della luce come fattore costitutivo della visione, facendone il fulcro di una poetica che ha inteso modificare radicalmente le coordinate dell’arte contemporanea. L’artista, iniziatore nel 1957 (con il collega e amico Otto Piene) del movimento internazionale di ZERO, ha sperimentato una pluralità di tecniche che vanno dalla pittura al rilievo, dalla scultura all’installazione, dal disegno alla scrittura, dalla fotografia al film. Non solo ha impiegato creativamente materiali non convenzionali legati al mondo industriale, quali ad esempio resine sintetiche, alluminio, plastica, plexiglas, vetro, acciaio, dispositivi luminosi e cinetici.
L’esposizione prende le mosse da una rarissima opera del 1959 appartenente al ciclo dei “Lichtrelief”, “rilievi luminosi” in alluminio, che venne esposta nel gennaio 1960 alla Galleria Azimut di Milano nella storica mostra “La nuova concezione artistica”, e dedicata sul retro all’amico artista Piero Manzoni.
La mostra “Il Respiro della Luce” alla Cortesi Gallery a Milano (12/9 – 15/11), curata da Francesca Pola, è la prima mostra monografica dedicata all’artista Heinz Marck in Italia e intende ripercorrere il suo intero iter creativo. Si colloca a quasi sessant’anni dalla sua prima personale italiana, che si tenne nel 1960, proprio a Milano, alla Galleria Azimut, su invito di Enrico Castellani e Piero Manzoni, seguita da quella del 1963 alla Galleria Cadario.
Heinz Mack (Lollar, 1931) è una figura fondamentale nell’arte della seconda metà del XX secolo: artista radicale e rivoluzionario, attivo dagli anni Cinquanta nel segno di un’essenzialità espressiva e operativa in continuo rinnovamento.
Realizzata in stretta collaborazione con l’artista e il suo studio, l’esposizione raccoglie una serie di esempi fondamentali del suo lavoro, concentrandosi su uno dei nodi principali della sua riflessione creativa: la relazione tra luce, colore, struttura e spazio. Le opere esposte, molte delle quali di grande dimensione, vanno dal 1959 al 2018 e segnano momenti cruciali di un’attività creativa che ha visto Mack collocarsi precocemente tra i protagonisti della scena artistica internazionale.
Tutto il lavoro di Mack si è da sempre concentrato sul ruolo fondamentale della luce come fattore costitutivo della visione, facendone il fulcro di una poetica che ha inteso modificare radicalmente le coordinate dell’arte contemporanea. L’artista, iniziatore nel 1957 (con il collega e amico Otto Piene) del movimento internazionale di ZERO, ha sperimentato una pluralità di tecniche che vanno dalla pittura al rilievo, dalla scultura all’installazione, dal disegno alla scrittura, dalla fotografia al film. Non solo ha impiegato creativamente materiali non convenzionali legati al mondo industriale, quali ad esempio resine sintetiche, alluminio, plastica, plexiglas, vetro, acciaio, dispositivi luminosi e cinetici.
L’esposizione prende le mosse da una rarissima opera del 1959 appartenente al ciclo dei “Lichtrelief”, “rilievi luminosi” in alluminio, che venne esposta nel gennaio 1960 alla Galleria Azimut di Milano nella storica mostra “La nuova concezione artistica”, e dedicata sul retro all’amico artista Piero Manzoni.
La mostra “Il Respiro della Luce” alla Cortesi Gallery a Milano (12/9 – 15/11), curata da Francesca Pola, è la prima mostra monografica dedicata all’artista Heinz Marck in Italia e intende ripercorrere il suo intero iter creativo. Si colloca a quasi sessant’anni dalla sua prima personale italiana, che si tenne nel 1960, proprio a Milano, alla Galleria Azimut, su invito di Enrico Castellani e Piero Manzoni, seguita da quella del 1963 alla Galleria Cadario.
Heinz Mack (Lollar, 1931) è una figura fondamentale nell’arte della seconda metà del XX secolo: artista radicale e rivoluzionario, attivo dagli anni Cinquanta nel segno di un’essenzialità espressiva e operativa in continuo rinnovamento.
Realizzata in stretta collaborazione con l’artista e il suo studio, l’esposizione raccoglie una serie di esempi fondamentali del suo lavoro, concentrandosi su uno dei nodi principali della sua riflessione creativa: la relazione tra luce, colore, struttura e spazio. Le opere esposte, molte delle quali di grande dimensione, vanno dal 1959 al 2018 e segnano momenti cruciali di un’attività creativa che ha visto Mack collocarsi precocemente tra i protagonisti della scena artistica internazionale.
Tutto il lavoro di Mack si è da sempre concentrato sul ruolo fondamentale della luce come fattore costitutivo della visione, facendone il fulcro di una poetica che ha inteso modificare radicalmente le coordinate dell’arte contemporanea. L’artista, iniziatore nel 1957 (con il collega e amico Otto Piene) del movimento internazionale di ZERO, ha sperimentato una pluralità di tecniche che vanno dalla pittura al rilievo, dalla scultura all’installazione, dal disegno alla scrittura, dalla fotografia al film. Non solo ha impiegato creativamente materiali non convenzionali legati al mondo industriale, quali ad esempio resine sintetiche, alluminio, plastica, plexiglas, vetro, acciaio, dispositivi luminosi e cinetici.
L’esposizione prende le mosse da una rarissima opera del 1959 appartenente al ciclo dei “Lichtrelief”, “rilievi luminosi” in alluminio, che venne esposta nel gennaio 1960 alla Galleria Azimut di Milano nella storica mostra “La nuova concezione artistica”, e dedicata sul retro all’amico artista Piero Manzoni.
“Visible Invisible” è una mostra pensata ad hoc per gli spazi espositivi del Mudec, prodotta e promossa dal Comune di Milano-Cultura, MUDEC e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Boxart Gallery, a cura di Beatrice Benedetti. Aperta fino al 15 settembre 2019.
In rassegna circa cinquanta opere dell’artista, tra cui un inedito della Pietà Rondanini scattato al Castello Sforzesco di Milano e la fotografia della Sala di Caravaggio – mai esposta prima - realizzata nel 2019 alla Galleria Borghese di Roma, oltre all’immagine scattata al MUDEC tra i reperti della collezione permanente del museo.
L’artista cinese di fama internazionale Liu Bolin (Shandong, 1973) è conosciuto dal grande pubblico per le sue performance mimetiche, in cui, grazie a un accurato body painting, il suo corpo risulta pienamente integrato con lo sfondo.
Luoghi emblematici, problematiche sociali, identità culturali note e segrete: Liu Bolin fa sua la poetica del nascondersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel Tutto: una filosofia figlia dell’Oriente, ma che ha conquistato il mondo intero, soprattutto quello occidentale.
Contraddizioni tra passato e presente, tra il potere esercitato e quello subito: è la lettura opposta e complementare della natura delle cose, documentata dalle immagini di Liu Bolin. Denuncia? Riflessione critica? Contestazione politica e sociale? Le fotografie di Liu Bolin hanno diversi livelli di lettura, oltre l’immediatezza espressiva. Dietro lo scatto fotografico che si conclude in un momento c’è lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso, che rivela la coscienza dell’artista e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità.
“Visible Invisible” è una mostra pensata ad hoc per gli spazi espositivi del Mudec, prodotta e promossa dal Comune di Milano-Cultura, MUDEC e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Boxart Gallery, a cura di Beatrice Benedetti. Aperta fino al 15 settembre 2019.
In rassegna circa cinquanta opere dell’artista, tra cui un inedito della Pietà Rondanini scattato al Castello Sforzesco di Milano e la fotografia della Sala di Caravaggio – mai esposta prima - realizzata nel 2019 alla Galleria Borghese di Roma, oltre all’immagine scattata al MUDEC tra i reperti della collezione permanente del museo.
L’artista cinese di fama internazionale Liu Bolin (Shandong, 1973) è conosciuto dal grande pubblico per le sue performance mimetiche, in cui, grazie a un accurato body painting, il suo corpo risulta pienamente integrato con lo sfondo.
Luoghi emblematici, problematiche sociali, identità culturali note e segrete: Liu Bolin fa sua la poetica del nascondersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel Tutto: una filosofia figlia dell’Oriente, ma che ha conquistato il mondo intero, soprattutto quello occidentale.
Contraddizioni tra passato e presente, tra il potere esercitato e quello subito: è la lettura opposta e complementare della natura delle cose, documentata dalle immagini di Liu Bolin. Denuncia? Riflessione critica? Contestazione politica e sociale? Le fotografie di Liu Bolin hanno diversi livelli di lettura, oltre l’immediatezza espressiva. Dietro lo scatto fotografico che si conclude in un momento c’è lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso, che rivela la coscienza dell’artista e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità.
“Visible Invisible” è una mostra pensata ad hoc per gli spazi espositivi del Mudec, prodotta e promossa dal Comune di Milano-Cultura, MUDEC e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Boxart Gallery, a cura di Beatrice Benedetti. Aperta fino al 15 settembre 2019.
In rassegna circa cinquanta opere dell’artista, tra cui un inedito della Pietà Rondanini scattato al Castello Sforzesco di Milano e la fotografia della Sala di Caravaggio – mai esposta prima - realizzata nel 2019 alla Galleria Borghese di Roma, oltre all’immagine scattata al MUDEC tra i reperti della collezione permanente del museo.
L’artista cinese di fama internazionale Liu Bolin (Shandong, 1973) è conosciuto dal grande pubblico per le sue performance mimetiche, in cui, grazie a un accurato body painting, il suo corpo risulta pienamente integrato con lo sfondo.
Luoghi emblematici, problematiche sociali, identità culturali note e segrete: Liu Bolin fa sua la poetica del nascondersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel Tutto: una filosofia figlia dell’Oriente, ma che ha conquistato il mondo intero, soprattutto quello occidentale.
Contraddizioni tra passato e presente, tra il potere esercitato e quello subito: è la lettura opposta e complementare della natura delle cose, documentata dalle immagini di Liu Bolin. Denuncia? Riflessione critica? Contestazione politica e sociale? Le fotografie di Liu Bolin hanno diversi livelli di lettura, oltre l’immediatezza espressiva. Dietro lo scatto fotografico che si conclude in un momento c’è lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso, che rivela la coscienza dell’artista e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità.
Il MUDEC presenta un grande maestro americano e una delle figure più importanti nell’arte del ventesimo secolo: Roy Lichtenstein approda al Museo delle Culture di Milano con la mostra Roy Lichtenstein. Multiple Visions, fino all’8 settembre 2019.
La sua arte sofisticata, riconoscibile al primo sguardo e apparentemente facile da comprendere, ha affascinato fin dai primi anni eroici della pop art generazioni di creativi, dalla pittura alla pubblicità, dalla fotografia al design e alla moda e il potere seduttivo che essa esercita sulla cultura visiva contemporanea è ancora molto forte.
In mostra circa 100 opere tra prints anche di grande formato, sculture, arazzi, un’ampia selezione di editions provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane (la Roy Lichtenstein Foundation, la National Gallery of Art di Washington, il Walker Art Center di Minneapolis, la Fondation Carmignac e Ryobi Foundation, Gemini G.E.L. Collection), oltre a video e fotografie.
La mostra curata da Gianni Mercurio e promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, per l’ideazione di MADEINART, evidenzia, attraverso una panoramica sui temi e i generi dell’arte di Roy Lichtenstein, come gli elementi di diverse culture confluiscano nel suo lavoro di decostruzione e ricostruzione dell’immagine, e quindi elaborate in chiave pop con il suo linguaggio personalissimo: dalla storia della nascita degli Stati Uniti all’epopea del Far West, dai vernacoli e le espressioni artistiche etnografiche degli indiani d’America alla cultura pop esplosa in seguito all’espansione dell’economia mondiale del secondo dopoguerra, dalla cultura artistica europea delle avanguardie allo spirito contemplativo dei paesaggi orientali.
La mostra è organizzata in un percorso tematicoe includeo le sezioni Storia e Vernacoli, Oggetti, Interiors, Axction Comics, La figura femminile, Paesaggi, Astrazione e Maestri del Novecento.
Il MUDEC presenta un grande maestro americano e una delle figure più importanti nell’arte del ventesimo secolo: Roy Lichtenstein approda al Museo delle Culture di Milano con la mostra Roy Lichtenstein. Multiple Visions, fino all’8 settembre 2019.
La sua arte sofisticata, riconoscibile al primo sguardo e apparentemente facile da comprendere, ha affascinato fin dai primi anni eroici della pop art generazioni di creativi, dalla pittura alla pubblicità, dalla fotografia al design e alla moda e il potere seduttivo che essa esercita sulla cultura visiva contemporanea è ancora molto forte.
In mostra circa 100 opere tra prints anche di grande formato, sculture, arazzi, un’ampia selezione di editions provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane (la Roy Lichtenstein Foundation, la National Gallery of Art di Washington, il Walker Art Center di Minneapolis, la Fondation Carmignac e Ryobi Foundation, Gemini G.E.L. Collection), oltre a video e fotografie.
La mostra curata da Gianni Mercurio e promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, per l’ideazione di MADEINART, evidenzia, attraverso una panoramica sui temi e i generi dell’arte di Roy Lichtenstein, come gli elementi di diverse culture confluiscano nel suo lavoro di decostruzione e ricostruzione dell’immagine, e quindi elaborate in chiave pop con il suo linguaggio personalissimo: dalla storia della nascita degli Stati Uniti all’epopea del Far West, dai vernacoli e le espressioni artistiche etnografiche degli indiani d’America alla cultura pop esplosa in seguito all’espansione dell’economia mondiale del secondo dopoguerra, dalla cultura artistica europea delle avanguardie allo spirito contemplativo dei paesaggi orientali.
La mostra è organizzata in un percorso tematicoe includeo le sezioni Storia e Vernacoli, Oggetti, Interiors, Axction Comics, La figura femminile, Paesaggi, Astrazione e Maestri del Novecento.
Il MUDEC presenta un grande maestro americano e una delle figure più importanti nell’arte del ventesimo secolo: Roy Lichtenstein approda al Museo delle Culture di Milano con la mostra Roy Lichtenstein. Multiple Visions, fino all’8 settembre 2019.
La sua arte sofisticata, riconoscibile al primo sguardo e apparentemente facile da comprendere, ha affascinato fin dai primi anni eroici della pop art generazioni di creativi, dalla pittura alla pubblicità, dalla fotografia al design e alla moda e il potere seduttivo che essa esercita sulla cultura visiva contemporanea è ancora molto forte.
In mostra circa 100 opere tra prints anche di grande formato, sculture, arazzi, un’ampia selezione di editions provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane (la Roy Lichtenstein Foundation, la National Gallery of Art di Washington, il Walker Art Center di Minneapolis, la Fondation Carmignac e Ryobi Foundation, Gemini G.E.L. Collection), oltre a video e fotografie.
La mostra curata da Gianni Mercurio e promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, per l’ideazione di MADEINART, evidenzia, attraverso una panoramica sui temi e i generi dell’arte di Roy Lichtenstein, come gli elementi di diverse culture confluiscano nel suo lavoro di decostruzione e ricostruzione dell’immagine, e quindi elaborate in chiave pop con il suo linguaggio personalissimo: dalla storia della nascita degli Stati Uniti all’epopea del Far West, dai vernacoli e le espressioni artistiche etnografiche degli indiani d’America alla cultura pop esplosa in seguito all’espansione dell’economia mondiale del secondo dopoguerra, dalla cultura artistica europea delle avanguardie allo spirito contemplativo dei paesaggi orientali.
La mostra è organizzata in un percorso tematicoe includeo le sezioni Storia e Vernacoli, Oggetti, Interiors, Axction Comics, La figura femminile, Paesaggi, Astrazione e Maestri del Novecento.