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Duhok (2012 - Matteo Procaccioli)

Lunedì, 15 Febbraio 2016

Alla Permanente di Milano fino al 18 febbraio c’è Microcities, di Matteo Procaccioli.
Curata da Luca Beatrice, la mostra è un’esposizione essenziale del lavoro del fotografo marchigiano, e rappresenta il risultato della più recente coniugazione dell’artista del soggetto tradizionale dei suoi scatti. Ovvero, il paesaggio urbano.

Il percorso di Procaccioli, partito inizialmente con una evidente ricerca di verticalità tramite un punto di ripresa dal basso di monumentali strutture architettoniche, passa ora ad un cambio di visuale, necessario per una riconsiderazione del rapporto tra le strutture e lo spazio: intere città – dagli stati uniti alla cina passando per il medioriente – vengono infatti riprese dall’alto, ponendo in evidenza la loro collocazione nel contesto delle forme naturali che le circondano, e facendosi in questo modo apparentemente piccole.

Un approccio che si rende assolutamente segno dei tempi, identificando il punto di vista dello spettatore con quello che è oggi sempre più familiare, in un’epoca in cui con google maps stiamo imparando a riconoscere le città non solo dallo skyline, ma anche dalla flatline; e in cui i droni, rendono sempre più comune la ripresa aerea.

Ma la caratteristica sostanziale delle fotografie di Procaccioli è quella di ritrarre le città, svuotate dall’ evidenza dell’uomo, e tramite questa renderne implicita la presenza. A tratti pare quasi di sorvolare, in silenzio come in una capsula spaziale, non già la Terra, ma Marte; e questo effetto di straniamento, al cospetto di quello che è invece il pianeta che abitiamo, porta a riflettere sul rapporto che effettivamente abbiamo con esso.

 

Matteo Procaccioli, Duhok (2012)

Pubblicato in Selfie ad Arte

Dal 29 settembre al 9 ottobre al MAC di Milano c'è “Breaking Through” di Omar Hassan.

Il progetto, che l'artista ha portato a Londra e a Miami, arriva finalmente a Milano, la sua città.

La mostra curata da Luca Beatrice è un percorso all'interno della ricerca pittorica dell'artista, che nasconde dietro la semplicità del colore grandi concetti, e che spazia dalla pittura alla scultura e dalla performance all'installazione.

In questa serie di opere Hassan usa i guantoni al posto dei pennelli e con colpi ben assestati crea sulla tela un'esplosione di colori. Il risultato è in ogni gesto, calibrato seppur disinvolto, mentre schizza sulla tela alla velocità di un fulmine. Inventando un linguaggio tutto suo che sfreccia nel campo lungo della pittura, indagandone le possibilità stilistiche e le evoluzioni formali.
“La forza di un pensiero sta nel gesto di chi sa lasciare un segno delle proprie idee. Questo è il concetto con cui Omar ha saputo ritagliarsi nel panorama internazionale una sua identità e una sua riconoscibilità. Come nel pugilato, disciplina che gli ha insegnato non solo il rigore nella preparazione ma l'importanza fondamentale nella tecnica, le sue opere si scuotono in un vortice di colore e gravità verso il centro della tela. Metafora di un ring verticale che è la vita” (cit. Cristian Contini)

 

 

Pubblicato in Selfie ad Arte

Dal 29 settembre al 9 ottobre al MAC di Milano c'è “Breaking Through” di Omar Hassan.

Il progetto, che l'artista ha portato a Londra e a Miami, arriva finalmente a Milano, la sua città.

La mostra curata da Luca Beatrice è un percorso all'interno della ricerca pittorica dell'artista, che nasconde dietro la semplicità del colore grandi concetti, e che spazia dalla pittura alla scultura e dalla performance all'installazione.

In questa serie di opere Hassan usa i guantoni al posto dei pennelli e con colpi ben assestati crea sulla tela un'esplosione di colori. Il risultato è in ogni gesto, calibrato seppur disinvolto, mentre schizza sulla tela alla velocità di un fulmine. Inventando un linguaggio tutto suo che sfreccia nel campo lungo della pittura, indagandone le possibilità stilistiche e le evoluzioni formali.
“La forza di un pensiero sta nel gesto di chi sa lasciare un segno delle proprie idee. Questo è il concetto con cui Omar ha saputo ritagliarsi nel panorama internazionale una sua identità e una sua riconoscibilità. Come nel pugilato, disciplina che gli ha insegnato non solo il rigore nella preparazione ma l'importanza fondamentale nella tecnica, le sue opere si scuotono in un vortice di colore e gravità verso il centro della tela. Metafora di un ring verticale che è la vita” (cit. Cristian Contini)

 

 

Pubblicato in Selfie ad Arte

Dal 29 settembre al 9 ottobre al MAC di Milano c'è “Breaking Through” di Omar Hassan.

Il progetto, che l'artista ha portato a Londra e a Miami, arriva finalmente a Milano, la sua città.

La mostra curata da Luca Beatrice è un percorso all'interno della ricerca pittorica dell'artista, che nasconde dietro la semplicità del colore grandi concetti, e che spazia dalla pittura alla scultura e dalla performance all'installazione.

In questa serie di opere Hassan usa i guantoni al posto dei pennelli e con colpi ben assestati crea sulla tela un'esplosione di colori. Il risultato è in ogni gesto, calibrato seppur disinvolto, mentre schizza sulla tela alla velocità di un fulmine. Inventando un linguaggio tutto suo che sfreccia nel campo lungo della pittura, indagandone le possibilità stilistiche e le evoluzioni formali.
“La forza di un pensiero sta nel gesto di chi sa lasciare un segno delle proprie idee. Questo è il concetto con cui Omar ha saputo ritagliarsi nel panorama internazionale una sua identità e una sua riconoscibilità. Come nel pugilato, disciplina che gli ha insegnato non solo il rigore nella preparazione ma l'importanza fondamentale nella tecnica, le sue opere si scuotono in un vortice di colore e gravità verso il centro della tela. Metafora di un ring verticale che è la vita” (cit. Cristian Contini)

 

 

Pubblicato in Selfie ad Arte

Dal 21 ottobre a Palazzo Ducale di Genova c’è Warhol – Pop Society.

Curata da Luca Beatrice e prodotta da Palazzo Ducale di Genova e da 24 ORE Cultura, l’esposizione è una grande retrospettiva a 30 anni dalla morte dell’artista che più di ogni altro ha saputo raccontare, tramite la sua produzione, la società del consumo e della comunicazione.

La mostra presenta circa 170 opere tra tele, prints, disegni, polaroid, sculture, oggetti, provenienti da collezioni private, musei e fondazioni pubbliche e private italiane e straniere. Il percorso tematico si sviluppa intorno a sei linee conduttrici: le icone, i ritratti, i disegni, il suo importante rapporto con l’Italia, le polaroid, la comunicazione e la pubblicità.

Una mostra che copre l’intero arco dell’attività dell’artista più famoso e popolare del secolo scorso. Con lui si apre l’epoca dell’arte contemporanea, così come ancora la intendiamo oggi. “Warhol – Pop Society” resterà a Palazzo Ducale di Genova fino al 26 febbraio 2017.

 

Andy Warhol - Self-Portrait, 1986

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Dal 21 ottobre a Palazzo Ducale di Genova c’è Warhol – Pop Society.

Curata da Luca Beatrice e prodotta da Palazzo Ducale di Genova e da 24 ORE Cultura, l’esposizione è una grande retrospettiva a 30 anni dalla morte dell’artista che più di ogni altro ha saputo raccontare, tramite la sua produzione, la società del consumo e della comunicazione.

La mostra presenta circa 170 opere tra tele, prints, disegni, polaroid, sculture, oggetti, provenienti da collezioni private, musei e fondazioni pubbliche e private italiane e straniere. Il percorso tematico si sviluppa intorno a sei linee conduttrici: le icone, i ritratti, i disegni, il suo importante rapporto con l’Italia, le polaroid, la comunicazione e la pubblicità.

Una mostra che copre l’intero arco dell’attività dell’artista più famoso e popolare del secolo scorso. Con lui si apre l’epoca dell’arte contemporanea, così come ancora la intendiamo oggi. “Warhol – Pop Society” resterà a Palazzo Ducale di Genova fino al 26 febbraio 2017.

 

Andy Warhol - White Brillo Boxes, 1964

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iGonna (Andy Warhol, Marilyn)

Mercoledì, 26 Ottobre 2016

Dal 21 ottobre a Palazzo Ducale di Genova c’è Warhol – Pop Society.

Curata da Luca Beatrice e prodotta da Palazzo Ducale di Genova e da 24 ORE Cultura, l’esposizione è una grande retrospettiva a 30 anni dalla morte dell’artista che più di ogni altro ha saputo raccontare, tramite la sua produzione, la società del consumo e della comunicazione.

La mostra presenta circa 170 opere tra tele, prints, disegni, polaroid, sculture, oggetti, provenienti da collezioni private, musei e fondazioni pubbliche e private italiane e straniere. Il percorso tematico si sviluppa intorno a sei linee conduttrici: le icone, i ritratti, i disegni, il suo importante rapporto con l’Italia, le polaroid, la comunicazione e la pubblicità.

Una mostra che copre l’intero arco dell’attività dell’artista più famoso e popolare del secolo scorso. Con lui si apre l’epoca dell’arte contemporanea, così come ancora la intendiamo oggi. “Warhol – Pop Society” resterà a Palazzo Ducale di Genova fino al 26 febbraio 2017.

 

Andy Warhol - Marilyn, 1967

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Hot: una mostra a luci rosse

Lunedì, 27 Maggio 2013

Luca Beatrice è uno che la sa lunga. Molto deriva ovviamente dal suo acume, ma ciò è in gran parte dovuto al fatto che lui – caso raro tra i critici e i curatori di arte – ha competenze vere anche in campi che esulano da quello canonico dell’arte figurativa. È Presidente del circolo dei lettori di Torino, scrive su Rumore… per questo, si ritrova sovente a esplorare le “contaminazioni” tra l’arte in senso stretto e la letteratura, la musica e anche il cinema. Più in generale, il suo lavoro spesso si occupa dell’arte nel contesto della società dello spettacolo e in relazione con la stessa.

Per dirla ulteriormente come Debord, l’arte – immobile, sacra e monolitica – da sola ostacola la comunicazione; i nuovi media, al contrario, fanno sì che le immagini diventino l’anima della società e dei rapporti tra le persone. Per questo motivo, sempre più, l’arte è interessante e attuale quando valica i suoi confini contaminandosi con la società.

Lady Tarin - Ludovica, 2010 - stampa giclèe, cm. 20 x 30

E il concetto appena premesso accompagnava costantemente i miei pensieri, il mese scorso, mentre leggevo il nuovo libro di Beatrice, “Sex” (Rizzoli). Libro che parla della presenza del sesso esplicito nell’arte moderna e contemporanea, e che (sin dal sottotitolo che indica un percorso “… da Courbet a Youporn”) ci porta dalle arti figurative a discorsi sul sesso in musica, cinema, perfino pornografia senza che ci si renda conto che di fatto non stiamo parlando di arte. Ma qui l’ho detto e qui lo nego, ne stiamo parlando eccome. E il concetto del libro trova una sua visualizzazione nella mostra “HOT”, a cura di Luca Beatrice in collaborazione con Benedetta de Magistris.

Nel’introduzione al catalogo della mostra, Beatrice cita i Cure dal loro album “Pornography”: “But it’s too late”, dice. Mi riallaccio a questo, citando le parole del leader della band, Robert Smith, che discutendo sulla genesi del titolo del disco, disse saggiamente tra le altre cose:

Non è il soggetto che è pornografico ma l’interpretazione che ne dai.

È proprio così. Come dice sempre Beatrice, la differenza sta nel contesto. Oltre che, ovviamente, nell’osservatore. I concetti di “osceno” e di “scandaloso” hanno senso solo da quando l’erotismo (o la pornografia?), in arte o meno, iniziano a dover fare i conti con i media. Se li decontestualizzi, o per meglio dire li ricontestualizzi, erotismo e pornografia possono essere arte. E viceversa, l’arte può essere pornografia.

PENocchio, 2012 ceramica, ferro verniciato, pvc, tessuti, imbottitura poliestere

Le immagini di “HOT” sono state selezionate ponendo una particolare attenzione al fatto che fossero decisamente esplicite: eppure sono assolutamente artistiche, come dice il curatore “per stile, linguaggio, raffinatezza e maestria”. L’intento è quindi chiaramente quello di dimostrarci che, in questo contesto, la pornografia può diventare arte.

Ragazza con vestito di seta turchese, 2013 china e matite colorate

Dalle polaroid di Araki, fotografo/voyeur che più di chiunque altro ha rivelato l’estremamente complesso universo erotico del Giappone, a quelle di Mario Schifano, grande pittore, che fotografava il sesso femminile con passione e ossessione; dalla collaborazione visionaria di Zucconi e Sabbagh, che svuotano l’anima ad una scultura di marmo, rendendola vuota e sottile, e la riempiono e animano proiettandovi sopra un corpo femminile vivo e malizioso, al disegno di Jean Cocteau, scrittore, disegnatore e regista estremamente versatile le cui opere visive trasudano sesso e surrealtà; dal pop lowbrow di Francesco De Molfetta che mette in mostra i vizi insospettabili dei protagonisti delle fiabe, a Richard Kern e alle sue girls next door al contempo patinate e ruspanti; dall’iperrealismo di Sabrina Milazzo, che pare rendere pulsanti e vivi i corpi ritratti, al diario personale di Fulvia Monguzzi che con matite e penarelli prende appunti sul suo sesso quotidiano; dai disegni del cantautore Tricarico, che pare ricreare degli scenari alla Bosch con china e pastelli, veri e propri eden (o ade) del sesso, fino al bonus dei “sex toys” di Haring ed altri, le opere sono estremamente diverse tra loro per tecnica, approccio (talvolta ironico, altre volte estetico, oppure simbolico…), ma così simili nell’oggetto rappresentato.

Condom Heart – Pop prodotti dalla Keith Haring Foundation, New York

“HOT” sarà esposta alla galleria De Magistris (via Sant’Agnese 16, Milano) dal 23 maggio al 6 luglio 2013.

 

Pubblicato in ArtsLife

Marta Sesana colori e inquetudini

Mercoledì, 15 Gennaio 2014

Una delle caratteristiche che rendono eccellente un pittore figurativo, e lo elevano al di sopra degli altri a prescindere da ogni ulteriore aspetto, è la sua capacità di dare corpo alle forme. Di creare una pittura estremamente volumica, addirittura tridimensionale; è una qualità che non dipende dalle capacità tecniche (o, meglio, non si esaurisce in esse), ma che fa parte del talento puro di un artista.

Marta Sesana, pittrice milanese, classe 1981, in questo è maestra. Le sue figure umane, così plastiche (anche nel senso dell’apparente materiale: danno infatti l’impressione di essere create con la plastilina), paiono quasi uscire dalla tela. Il loro aspetto surreale passa quasi in secondo piano, rispetto a quanto in effetti appaiano reali grazie al tocco della pittrice. Ed in effetti la surrealtà delle figure di Marta cela invece un approccio più realista, quasi quotidiano, in cui vengono raccontate e dipinte persone che si ritrovano in situazioni comuni – seppur spesso speciali, come nel caso della folla multicolore dei giovani di “Piazza d’Uomo” – così come scenari naturali e non invece luoghi utopici, come nel caso del trittico “La Foresta”. Ma la pittura della Sesana, col suo lavoro che parte dal ritratto di un bozzetto tridimensionale costituito da volumi reali, per poi passare al disegno e all’aggiunta di luci e colori, cerca di rivelare le verità nascoste delle cose raffigurandone dei simulacri, delle metafore. Che si svolgono tra l’onirico e l’ironico, dove il secondo aspetto è la chiave di lettura che permette la contestualizzazione nella realtà quotidiana del primo.

Come si conviene a chi cerchi nella psichedelia uno strumento di approfondimento e non di mero annullamento dell’ego, quindi, le persone e le realtà raffigurate da Marta Sesana vogliono essere decisamente realiste ed espressive, descrivendo una realtà mimetizzata e non naturalistica, in cui si cerca di approfondire l’aspetto emotivo. Ecco il perché del suo utilizzo dei colori, forti e realmente vivi: la cromìa dell’artista ha una funzione fortemente espressionista, i suoi colori hanno il compito di evocare le inquietudini, gli stati d’animo e gli aspetti meno visibili delle persone e delle situazioni ritratte.

Marta Sesana esporrà, dal 13 febbraio al 22 marzo 2014, alla galleria “Antonio Colombo Arte Contemporanea”, nel contesto della doppia personale “On The Border”, assieme a Carlos Donjuan e curata da Luca Beatrice.

Pubblicato in Il Giornale

"Il termine Kustom Kulture, molto diffuso nella cultura americana, comincia a riscuotere grande interesse anche qui da noi in diversi linguaggi visivi contemporanei. L’espressione deriva dall’underground usa e si sviluppa a partire dagli anni ’50 ma trova negli ultimi decenni una crescita più articolata e complessa.

Custom (la lettera K è usata in nome di una licenza poetica) si riferisce al consumatore, ovvero colui che non si limita a utilizzare un oggetto così come viene prodotto ma vuole personalizzarlo con interventi minimi oppure stravolgerlo fino a renderlo irriconoscibile. In termini filosofici si può dire che è l’esatto contrario del mercato di massa e dell’omologazione: non più tutti uguali in nome di una moda o una tendenza, ma tutti diversi, unici, irripetibili, in nome invece di un irresistibile voler essere al di sopra delle mode.

Kustom Kulture si applica dunque alle motociclette –oggi le Special risultano molto più attraenti dei modelli di serie- alle automobili –con il fenomeno delle Hot Rod (letteralmente bielle roventi, vetture spesso storiche, notevolmente modificate e truccate nel motore e nella carrozzeria con le tipiche decorazioni flaming)- ma anche alle arti visive, in particolare alla pittura, e al design.

Sarà per la sua inesausta ricerca in questo campo –le sue biciclette sono quanto di più vicino alla cultura del do it yourself- da un po’ di tempo Antonio Colombo ha messo il naso sul fenomeno americano ripromettendosi di portare in Italia un assaggio di questa meravigliosa tendenza. Dice di aver voluto “mettere le mani nel mito americano e sporcarmele. That’s why. Io che guido male brutte automobili, non mi ubriaco mai, non ho tatuaggi e non so suonare nemmeno il mandolino, non la Stratocaster”. Capita così che “un bel giorno, ossessionato dalle immagini da una vita, ho voluto capire di più un mondo affascinante, eccessivo, volgare e mitico che risponde al nome di Hot Rod e Kustom Kulture. Il sogno americano che tutti o quasi sognano, vento tra capelli lunghi, velocità, musica ZZ Top e un po’ di Eagles, grafiche che forse riuscivo a fare anch’io sui banchi del Liceo Ginnasio statale Giosuè Carducci”.

Ecco come è nata l’idea di chiedere ad Anthony Ausgang, che aveva esposto qualche stagione fa in una personale da me curata, di raccogliere una serie di protagonisti e non di questo straordinario mondo. Autoincludendosi ovviamente nella scelta.

Insieme, noi tre, abbiamo condiviso discussioni, fascino e grandi sogni. Per una volta il mio ruolo abituale di curatore passa in secondo piano per svolgere, volentieri, quello di raccordo tra Milano e l’America. Passo la parola ad Ausgang che ci racconta chi sono alcuni tra i protagonisti della Kustome Kulture a stelle e strisce. Per un pubblico di fans, addicted, appassionati e curiosi."

Luca Beatrice

 

Sara Ray, Black Tar Day

 

 

Pubblicato in Selfie ad Arte
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